Serata storica quella della cerimonia per l’ingresso nella Rock And Roll Hall Of Fame che si è tenuta nella notte fra il 10 e l’11 aprile presso il Barclay’s Centre di Brooklyn, New York.
Molto emozionante il momento che ha visto protagonista la E Street Band, presentata da un travolgente e commovente discorso tenuto da Bruce Springsteen: il gruppo, con il Boss a fare gli onori di casa e a cantare, si è lanciato in una versione da brivido di “The E Street Shuffle” poi “The River” (dedicata a Clarence) e “Kitty’s Back”.
Ricordiamo che l’evento si è svolto in forma privata e sarà trasmesso in tv solo il prossimo 31 maggio.
Il discorso di Bruce Springsteen:
Buonasera. In principio, c’era Mad Dog Vini Lopez, in piedi di fronte a me, appena uscito di prigione, con la testa rasata, nella Mermaid Room dell’Upstage Club di Asbury Park. Mi disse che aveva una macchina per fare soldi chiamata Speed Limit 25 e stavano cercando un chitarrista e chiese se ne fossi interessato. Stavo messo male, e quindi lo ero. Quindi la genesi della E Street Band ha inizio in realtà con il gruppo al quale Vini Lopez mi chiese di unirmi per fare qualche dollaro in più durante il fine settimana.
Poco dopo, incontrai Dan Federici. Era vestito di pelle per tre quarti di lunghezza, aveva i capelli rossi pettinati all’indietro con la moglie Flo, che indossava una parrucca bionda e cotonata e venivano da Flemington, NJ .
Quindi Vini, Danny, io, insieme con il bassista Vinnie Roslin, stemmo per un po’ in un casolare di legno sulla strada principale di una città di pesca di aragoste: Highlands, NJ. Incontrammo per la prima volta Garry Tallent insieme a Southside Johnny, quando trascinarono due sedie su una pista da ballo vuota non appena collegai la mia chitarra in fondo alla parete del backstage. Ero il ragazzo nuovo in una nuova città e loro erano i ragazzi del posto. Seduti lì dietro, mi osservavano come per dire “Forza, dai vieni, punk, facci vedere. Vediamo cosa sai fare.” E io andai sul palco e scassai tutto.
Il grande modo di suonare il basso di Garry Tallent e la sua presenza di gentiluomo del Sud hanno tenuto salda la mia band per 40 anni; grazie, Garry! Grazie, signore. Poi, una notte, mentre vagavo nell’Upstage, rimasi senza parole dinanzi alla faccia da bambino, di 16 anni, di David Sancious. Davey era molto, molto particolare: era un giovane uomo di colore che nel 1968 ad Asbury Park – che non era un posto tranquillo- aveva attraversato i binari in cerca di un’avventura musicale. Ci benedisse con il suo talento e il suo amore. Fu il mio compagno di stanza… due ragazzi in una stanza di motel a 6 dollari a notte, nei primi anni della E Street Band. Era bravo, teneva i suoi calzini puliti; è stato bello. Portava in giro un serpente intorno al collo all’epoca, ero fortunato ad avere Davey come il mio compagno di stanza! [ride] E Davey è l’unico membro del gruppo che abbia realmente vissuto sulla E Street!
Così entrai e lui era all’organo del club. Davey è piuttosto riservato ora ma all’epoca ballava come Sly Stone e suonava come Booker T, e buttava fuori blues, soul, jazz, gospel e rock & roll e aveva cose nella sua tastiera che non avevamo mai sentito prima. Era così pieno di anima e così fantastico… Davey, ti amiamo e sentiamo ancora la tua mancanza, sai?
Ma prima di tutto questo c’è stato Steve Van Zandt. Steven: cantante, frontman, frontman. Entrai al Middletown Hullabaloo Club; era il frontman di una band chiamata The Shadows. Aveva una cravatta che gli arrivava da qui fino ai piedi. Tutto quello che ricordo è che lui stava cantando “Happy Together ” dei Turtles. Durante una pausa presso l’Hullabaloo Club nel New Jersey – suonavi 55 minuti poi interrompevi per 5 minuti, ma appena sentivi un po’ di casino tornavi di nuovo sul palco a suonare- ho incontrato Stevie e ben presto diventò il mio bassista, poi chitarrista, il mio consigliere, il mio avvocato del diavolo di fiducia ogni volta che ne ho bisogno di uno…le preziose orecchie per tutto quello che creo; mi sono sempre tenuto in contatto con lui, e sono il suo fan numero 1. Lui è la mia spalla sul palco, il mio compagno produttore/arrangiatore, e il mio blood, blood, blood, blood, blood brother. E andiamo avanti, così, Steve per quante vite ci daranno da vivere, va bene?
Anni e bands passavano: Child, Steel Mill, The Bruce Springsteen Band— erano tutte un po’ combinazioni della band di cui sopra. Poi firmai un contratto discografico da solista con la Columbia Records e dovetti scegliere per la registrazione i miei “sidemen”, un termine improprio, in questo caso, ma non ne trovo altri. Così, scelsi la mia band e i miei grandi amici, e finalmente atterrammo sulla E Street – un rara forma di band a metà strada tra l’arte solista e una vera rock & roll band.
Ma una grande cosa mancava…era una notte buia e tempestosa, il vento del Nord Est scuoteva i lampioni della Kingsley Boulevard ed entrò Clarence Clemons. Ero sempre stato affascinato dai suoni di sax di King Curtis e cercavo da anni un sassofonista di Rock and Roll. E quella notte Clarence entrò, si diresse verso il palco e si eresse come una torre alla mia destra sul piccolo palco del Prince, dalle dimensioni più o meno di questo podio, e scatenò tutta la forza della natura che stava nel suono e nell’anima di Big Man. In quel momento capii che la mia vita era cambiata. Mi manchi, ti voglio bene Big Man. Avrei voluto che fossi con noi stasera; questo avrebbe un grande, grande significato per Clarence.
Una menzione d’onore e un’acclamazione per Ernie “Boom” Carter, il batterista che ha suonato su una sola canzone: “Born to Run”. Se l’è scelta bene. Quindi ecco a voi, Ernie. Grazie, grazie.
Grazie, naturalmente, a Max Weinberg e Roy Bittan, che risposero ad un annuncio sul “Village Voice”, facendo fuori altri 60 batteristi e tastieristi. Erano: l’infaticabile, il “dangerously dedicated” Mighty Max Weinberg e il favoloso “cinque dita” Prof. Roy Bittan. Sono raffinati e hanno definito i suoni della E Street Band, che rimangono il nostro biglietto da visita in tutto il mondo fino ad oggi. Grazie, Roy. Grazie, Max. Sono i miei sicari professionisti; li amo entrambi.
Poi, dieci anni dopo, Nils Lofgren e Patti Scialfa si aggiunsero giusto in tempo per aiutarci nella rinascita di Born in the USA. Nils, uno dei grandi, grandi chitarristi rock del mondo, con la voce da ragazzo del coro, mi ha dato tutto quello che ha avuto negli ultimi 30 anni. Grazie, Nils. Tanto amore.
E Patti Scialfa, una Jersey Girl, che arrivò un fine settimana da New York City per unirsi a una band locale, i Cats on a Smooth Surface e Bobby Bandiera allo Stone Pony, dove cantava una versione assassina di Tell ‘Em degli Exciters. Aveva una voce piena un po’ di Ronnie Spector, un po’ di Dusty Springfield e di tanto altro… molto, molto personale. Quando finì, andai a presentarmi nel retro del locale, prendemmo un paio di sgabelli e restammo seduti lì per l’ora successiva, 30 anni o giù di lì, a parlare di musica e tutto il resto. Quindi abbiamo aggiunto [alla E Street Band] la mia bella donna dai capelli rossi e lei ha infranto il club degli uomini!
Dunque, volevo che la nostra band rispecchiasse il nostro pubblico, e nel 1984, in quella band si erano aggiunti uomini e donne. Ma, l’ingresso di Patti ci spaventata così tanto che la prima sera del Born In The USA Tour, le chiesi di venire nel mio camerino per controllare cosa avrebbe indossato! Lei aveva una specie di T-shirt un po’ femminile e io rimasi lì in sudorazione. Ai miei piedi, avevo una piccola borsa da viaggio Samsonite che portavo con me che cominciai a prendere calci. Era piena di tutte le mie puzzolenti magliette sudate e le dissi: “scegli una di queste che andrà tutto bene”. Stasera non ne indossa una ma Patti, ti amo, ti ringrazio per la tua bella voce, hai cambiato la mia band e la mia vita. Grazie per i nostri bellissimi figli.
Così, le vere band… le vere band si formano con chi ti è vicino. Da un tempo reale e un luogo reale che esiste per un po’, poi cambia, e poi passa. Si formano dalle stesse circostanze, gli stessi bisogni, la stessa fame e cultura. Si forgiano nella comune ricerca di qualcosa di più promettente di ciò per cui sono nate. Questi sono gli elementi, gli strumenti e queste sono le persone che hanno costruito il luogo chiamato E Street.
Quindi, la E Street era una danza; era un’idea; era un desiderio; era un rifugio; era una casa; era una destinazione; era un sogno; e, infine era una band. Abbiamo lottato insieme, abbiamo lottato l’uno con l’altro. Ci siamo immersi nella gloria, e spesso, condiviso l’emozione delle nostre ricompense. Abbiamo gioito insieme nella salute e abbiamo sofferto la malattia, l’invecchiamento e la morte insieme. Ci siamo presi cura l’un dell’altro quando i problemi hanno bussato alla porta e ci siamo feriti l’un l’altro in grandi e piccoli modi. Ma alla fine, abbiamo mantenuto fede gli uni negli altri. E una cosa è certa: come ho detto prima a proposito di Clarence Clemons, ho raccontato una storia della E Street Band che è stata d è più grande di quella che io avrei mai potuto raccontare se fossi stato solo. E credo che questo spieghi tutto.
Ma questo è il segno distintivo di una rock and roll band- la storia che racconti insieme è più grande di quanto chiunque avrebbe potuto raccontare da solo. Ecco i Rolling Stones; i Sex Pistols; questo è Bob Marley e i Wailers. Questo è James Brown e i suoi Famous Flames. Questo è Neil Young e Crazy Horse .
Quindi, vi ringrazio miei meravigliosi uomini e donne della E Street. Mi avete fatto sognare e amare più di quanto avrei potuto mai fare senza di voi. E stasera ho un solo rammarico: che Danny e Clarence non possano essere qui con noi ora.
Sedici anni fa, pochi giorni prima del mio induzione [alla Rock and Roll of Fame], mi trovavo al buio della mia cucina insieme a Steve Van Zandt. Steve era tornato nella band dopo una pausa di 15 anni e stava portando avanti una petizione per introdurre nella Hall of Fame tutti noi insieme. Ascoltai – ma la Hall of Fame ha le sue regole – e all’epoca ero felice della mia indipendenza. Non suonavamo insieme da 10 anni, ci eravamo un po’ allontanati, stavamo facendo i primi piccoli passi verso un cambiamento. Non sapevamo cosa il futuro ci avrebbe portato. E forse le ombre di alcuni vecchi rancori avevano qualche influenza. Era un punto interrogativo, non eravamo né carne né pesce. Ma Steve era tranquillo e persistente. E alla fine della nostra conversazione, disse solo: “Sì, ho capito. Ma…. Bruce Springsteen e la E Street Band: è questa la leggenda.”
Quindi sono orgoglioso di introdurre nella Rock and Roll Hall of Fame, the heart-stopping, pants-dropping, hard-rocking, booty-shaking, love-making, earth-quaking, Viagra-taking, justifying, death-defying, legendary E Street Band.