11 Giugno 2012: Bruce Springsteen – Trieste, Stadio “N. Rocco”

Accadde oggi!

MILANO-FIRENZE-TRIESTE: L’EMOZIONE E LA FESTA

Paola J

Provo sempre una incredibile difficoltà nel riepilogare un tour di Bruce. Ogni tanto inizio, cancello, riparto, lascio perdere, poi (è più forte di me) ricomincio, butto giù parole, senza un canovaccio, senza sapere cosa dirò, come lo dirò e dove arriverò, rischiando una irrefrenabile deriva emotiva, inerpicandomi su un sentiero  scontato ma impervio alla ricerca di nuovi aggettivi e di mille sinonimi per la parola “GRANDIOSO”.

Aggiungici, poi, che sono ancora sotto choc, che non ho ancora ritarato la bussola, visto che da sei mesi il mio nord coincideva con “SAN SIRO: 7 giugno”, adesso che è andata pure la data di Trieste ho dovuto azzerare il count down e ricominciare a vivere le mie giornate come tutte le persone normali. Ma è proprio questo il punto: viverenormalmente dopo che è passata la cometa è praticamente impossibile. Ed è bene mettersi l’anima in pace che prima che tu riesca a sganciarti dalla forza gravitazionale della sua orbita e a scrollarti di dosso il pulviscolo stellare che ti si è appiccicato ovunque – fatto di  immagini, suoni, sensazioni, emozioni, occhi, volti, etc-  ne passerà di tempo. E quindi? Quindi, SI FINGE. Si fa finta di rientrare in palla, nel “tran tran” del quotidiano; si fa finta di non essere stanchi e di non aver accusato il colpo, per non offrire il fianco a chi ti rompe ogni volta con i “te-l’avevo-detto-io” e i “ chi-te-lo-fa-fare”; si fa finta di essere pronti a riconcentrarsi sulle banali liste degli impegni giornalieri, che dopo solo tre giorni che hai trascurato, già sembrano fermentati a dismisura; si fa finta di essere freschi e tosti sul lavoro camuffando l’aria trasognata, lo sguardo assente e la testa che non ci sta proprio, con un “leggero e fastidioso mal di testa”. Ma in realtà ti appenderesti al collo un cartello con la scritta: ”per pietà, non mi svegliate ancora”.

Non mi riescono i commenti tecnici, e a dir la verità mi annoiano terribilmente. Non metterò a confronto le tre date, anzi quando qualcuno me lo chiede “è stato meglio Milano o Firenze o Trieste? Qual è la set list che ti è piaciuta di più?” in realtà mi impongo con sforzo sovraumano di rispondere con educazione, ma proprio non lo sopporto. Per tanti motivi: primo, perché Bruce è Bruce, e (lo sappiamo tutti!) è capace di inanellare show su show sempre al massimo dell’energia, sempre con lo spirito di chi vuole regalarti qualcosa di speciale che di fatto ricorderai per la vita, e almeno per me è impossibile scegliere il dono che più ho gradito. Secondo, perché qualsiasi sia la tua risposta, c’è sempre qualcuno che è pronto a commentare “lo sapevo, l’ha detto apposta perché è l’unico concerto che non ho visto”. Terzo, perché come si fa a confrontare non tre concerti, ma tre eventi, tre epifanie, tre opere d’arte, tre date storiche destinate ad entrare nel tuo patrimonio genetico, trasmissibile ereditariamente ai posteri? Proprio non saprei…

Allora, che scrivo?  Deciso: scrivo di divertimento, brividi, emozioni e lacrime, che forse è la cosa sulla quale siamo tutti d’accordo.

1. Milano, San Siro, 7 giugno 2012

Un cartello magnifico, di una signora inglese, recita  “Il papa è stato qui la settimana scorsa, Madonna ci sarà la prossima, Dio c’è adesso.” Grande! Tre righi, tre icone a confronto, due grandi flop e un solo unico vincitore: Bruce. Senza palchi futuristici come quelli del mesto Ratzinger, senza apparati kitsch e stucchevoli come quelli della Ciccone (che godimento il suo fiasco!), ha convertito più anime il Boss in tre ore e quaranta di quante ne abbia convertite il Santo Padre i tutti gli anni del suo apostolato. Ed è una conversione miracolosamente multigenerazionale: bambini, giovani (mai visti così tanti a un concerto del Boss!) e meno giovani, anziani…Chi è al suo primo concerto, chi al suo centesimo…ma una cosa è assolutamente certa: tutti usciremo da qui stasera con la sensazione di aver vissuto qualcosa di epico. Essenzialità, autenticità, attendibilità, forza, amore, condivisione, passione, intensità… questi, come sempre, gli unici panni che veste Bruce per trascinarci in una festa che sembra non dover mai finire, in un unico grande abbraccio che salda fisicamente e spiritualmente il suo pubblico a lui e alla band sul palco, come avvolgente, suggestivo, impressionante è l’abbraccio degli anelli gremiti all’inverosimile di quell’immenso straordinario catino dello stadio San Siro.

Lacrime su Jack of All Trades, tra migliaia di puntini luminosi accesi come stelle sugli spalti; su The River, cantata ad occhi chiusi e pugni stretti insieme a migliaia e migliaia di voci che si sovrappongono a quella dello stesso Bruce; su The Promise suonata da solo al piano, lasciandoci senza fiato e con brividi che scuotono dalla testa ai piedi… Tutti i pezzi dell’ultimo album, come Death To My HometownWe Are Alive, dedicata indirettamente a Clarence,  Shackled and DrawnRocky Ground,  We Take Care of Our OwnWrecking Ball  sembrano trarre ulteriore potenza ed energia nelle versioni live, con tutta la forza dei fiati, il vigore dei cori…Splendida  e suggestiva più che mai My City of Ruins, “canzone di saluti e arrivederci, delle cose che ci lasciano e che rimangono per sempre…”, una canzone sul distacco dalle cose e dalle persone che amiamo: il pensiero va al recente terremoto, alla morte di Clarence e Danny, ai momenti drammatici che ci hanno toccato o che inevitabilmente ci toccheranno nella nostra vita, ma che devono necessariamente trovare  riscatto nel “come’on rise up!” che esplode violento verso il cielo.

brucino1Su Spirit in the Night, Bruce acchiappa “Brucino” – il pupazzo gonfiabile creato da Gianluca con il volto di Springsteen e la piccola Fender al collo – e comincia e cantare con lui. Inquadrato dalle telecamere e sparato large size sui megaschermi, tutto lo stadio esplode in urla, flash e risate. Guardo Gianluca al colmo della contentezza…e ancora non sa che quel momento è destinato a diventare famoso, riportato come una delle immagini simbolo del concerto in tutte le cronache dei quotidiani.

Quando Bruce sospende Tenth Avenue Freeze Out suBig Man Joined the band” per lasciar posto alle immagini del grande uomo scomparso appena un anno fa, si giunge all’apice della commozione. Silenzio assoluto. Poi un coro di 65 mila persone che inneggia a Clarence rimbomba potente nello stadio. Bruce pure è turbato ma una cosa è la commozione altro è la tristezza, e così è pronto a ripartire con “all the little pretties raise their hands”, nel modo più gioioso possibile, con migliaia di mani ondeggianti. Come nell’85, nel 2003, nel 2008 anche quest’anno San Siro è stato un’esplosione di musica, gioia, emozioni. Una magia irripetibile che sente anche Bruce suonando e cantando senza interruzioni, senza risparmio, senza tregua. Niente da dire, San Siro è San Siro e Bruce ce lo riconosce (“numero uno!” urla ). E così, quando pensiamo che sia finita dopo 32 pezzi, si strappa la maglia e riattacca per darci il colpo di grazia e finirci sotto i colpi di Twist and Shout. Mio Dio! Ma da dove sei uscito? Ma di cosa sei fatto? Sei umano? Sono le uniche parole che la mia mente annichilita riesce a elaborare.

Stravolti, voce rauca, occhi lucidi, panni azzeccati addosso per il sudore, urla di gioia e sorrisi stampati sui volti, ci avviamo a concludere la prima tappa, non senza aver immortalato il momento con quelle foto di gruppo che alla distanza riguarderemo con malinconia e divertimento, come testimonianze di una euforia e di un’adrenalina che ci sosterranno per giorni.

2. Firenze,  Stadio “A. Franchi”, 10 giugno 2012

Camminiamo intorno allo stadio, la mattina presto e la gente ci saluta e ci riconosce come quelli del PinkCadillac o semplicemente come quelli “della maglia rosa”. Bello! Certo siamo sempre di più adesso e sempre presenti, abbiamo raggiunto una buona visibilità col sito, e adesso ci si mette anche la popolarità di “Brucino”, super corteggiato da fotoreporter o da fans per semplici istantanee ricordo. Sì, bello!

La fila per entrare nello stadio è disordinata e mal gestita, ma malumori e stanchezza non prenderanno mai il sopravvento! Anzi una volta dentro, siamo ancora più carichi (se è possibile) rispetto a San Siro, meno male  perchè non sappiamo ancora cosa ci aspetta, cosa si scatenerà di lì a poco. Potrei dire, riassumendo : “Io ne ho viste cose che voi umani non potreste immaginarvi…”

E’ impossibile descrivere quanto è accaduto. Il modo migliore di raccontarlo a chi non c’era sarebbe attraverso le immagini, ma neanche. E comunque, non certo attraverso poche e sgangherate righe che pateticamente ambirebbero a ripercorrere quelle emozioni. So solo che ancora una volta non è stato un concerto, ma una magia. E stavolta, come nel 2003 a Milano, complice è la pioggia che anziché disperdere, unisce, salda ancora di più. Inizia a scendere leggera leggera, infida, di quelle che ti bagnano ma senza farsi notare più di tanto. Non metti neanche il cappello perché in fondo non è male. Poi, cedi al kway, meglio se con cappuccio perché comincia a fare sul serio. E infine il nubifragio, ti rassegni allarghi le braccia e sfidi il cielo ridendo e urlando ancora di più le tue canzoni. Madonna mia e che pioggia! Ma siiiiiiiiiiiiii!!!!! Ridi e canti con l’acqua che ti scende nei calzini, attraversando le maniche del kway, passando per mutande e tasche con i documenti e soldi ormai inutilizzabili. E’ un fantastico, folle, surreale  singin’ in the rain, alla faccia del cielo plumbeo e delle raccomandazioni della mamma. Più siamo là a beccarci l’acqua addosso – con gli zaini sempre più pesanti e  scarpe e vestiti sempre più intrisi – più saltiamo, ridiamo, cantiamo, senza indietreggiare di un passo. E più restiamo là, imperterriti, come se niente fosse, più carichiamo Bruce che avverte e ricambia la nostra assoluta e totale dedizione. E così, più si carica…più si dà; e più si dà più cresce la nostra follia….Impazzisce completamente anche lui, contagiato dagli italiani “pazzi pazzi”, e suona quasi tutto il concerto sotto il nubifragio. Non c’è pioggia che possa guastarci la festa, fargli ridimensionare la set list o che smorzi energie, nostre e sue. Ci premia con due splendide tour premiere,  Be True e Burning Love; con  TrappedProve it all NightDarlington County (con “Honky Tonk Woman” intro) e una Backstreets da lacrime. E cosa dire di Land of Hope and Dreams, immancabile perla nella sua set list, ma che ogni volta è capace di annullarti la capacità di intendere e di volere? Bellissimo anche l’Apollo Medley, con Jake Clemons – già nei nostri cuori –  che sorprende anche con una divertente break dance. Quando crediamo tutto concluso, sulle note di Twist and Shout, eccola lì che spunta una Who’ll Stop The Rain, attesa per tutta la serata, che ci costringe a “tornare in campo” distrutti e increduli, spugnati fino alle ossa, ma davvero tanto felici. Ok, nessuno ha fermato la pioggia, ma chi se ne frega: la pioggia non ha fermato proprio nessuno, anzi…! Sì, Bruce, siamo “duri a morire” ma tutto questo è solo per te.

Eccoci tutti riversati verso le uscite. C’è chi è già in ciabatte e mutande, chi batte i denti, chi cerca utopisticamente un cambio asciutto e indossabile all’interno di uno zaino gonfio d’acqua, chi è avvolto come un cioccolatino nella sua sfavillante coperta termica. Forse è solo un’impressione, forse solo un vortice di sentimentalismo, ma ho la netta sensazione, osservando le espressioni e gli occhi di chi mi sta attorno, che tutti abbiano la consapevolezza che quel “disagio” vissuto tutti insieme e insieme a Bruce, sia già parte di un magnifico ricordo, che ne amplificherà ulteriormente emozioni e divertimento.

Ci avviamo verso la stazione in ciabatte e ormai inutilizzabili kway, che non hanno mai visto tanta acqua tutta insieme prima di adesso. Nelle toilette troviamo il primo accampamento di fans attaccati morbosamente agli asciugamani elettrici, scena nella quale ci rimbatteremo più volte nell’arco delle successive 24 ore: dove c’è WC, c’è fan, in preda a disperate quanto inutili operazioni “asciuga-calzino”.

Per pudore, evito di descrivere il nostro scompartimento del treno, più vicino a uno spaccato dei Quartieri Spagnoli che a un mezzo di trasporto pubblico:magliette appese, calze, scarpe, cappelli, Kway, zaini, documenti….tutto il bucato steso spudoratamente sotto gli occhi di un anziano signore, per sua sfiga nostro compagno di viaggio. E che vuoi dormire?…praticamente impossibile. Se penso a Gianluca e ai suoi lamenti per il collo storto, alle posizioni da manuale di contorsionismo di Gianni e Mario, alla mia coperta termica, avvolta sulle gambe come il plaid della nonna, mi viene una crisi di risate che andrebbe avanti due giorni.

Ma siamo tanto felici e carichi, pronti ad affrontare la terza tappa.

3. TriesteStadio N. Rocco, 11 giugno 2012

Arrivati a Trieste, giusto il tempo di una puntatina alla toilette (dove becchiamo ovviamente altri fans) e ci dirigiamo subito allo stadio. Una situazione così tranquilla, in Italia, non l’abbiamo mai vissuta: ci infilano il braccialetto del pit senza neanche il numero sul polso. Incredibile!  Tutto fila liscio come l’olio, ci riversiamo in un ospitalissimo centro commerciale giusto dietro l’angolo dove passiamo il resto della giornata, tra acquisti di calzini e biancheria, panini e quant’altro da consumare nell’attesa. Ci accampiamo sulle scale dove mi concedo addirittura qualche ora di sonno profondo. Piove ma stavolta, almeno per il momento siamo al riparo. Scopriamo che la popolarità di Brucino è ai massimi storici: ogni dieci metri c’è qualcuno che lo riconosce e che vuole la foto ricordo con lui. Poi bar, caffè e dritti dritti alla lotteria, che naturalmente non ci giova molto, sebbene abbiamo numeri dei braccialetti alquanto bassi. E va be’, quest’anno è andata così (…VIA, VIA LA LOTTERIA!). Comunque, anche se un po’ defilati, la prima fila è assicurata.

Il tempo si mette bene, il sole non esce ma la pioggia smette di tormentarci fisicamente e soprattutto psicologicamente. Cosa ci riserverà stasera il Boss? Qualsiasi cosa scelga per noi, sarà la cosa giusta. Per questo lo adoriamo, perché anche se sappiamo cosa aspettarci… incredibilmente è sempre di più di quanto possiamo aspettarci!

Lo stadio di Trieste si riempie totalmente, compatto, un corpo unico dal pit agli spalti: incredibilmente non c’è spazio neanche dietro il mixer.Ci ritroviamo con gli amici di sempre anche se mancano molti dei nostri pinkers, tornati prematuramente al lavoro (sigh!).  Il tempo stavolta vola e si apre l’ultimo concerto del tour italiano, sempre sulle suggestive note di C’era una volta il west, ormai inesorabilmente collegate agli show di Springsteen. Considerata la stima reciproca tra i due compositori, credo che a Mr. Morricone tutto sommato non dispiaccia affatto!

Sempre la solita esplosione, sempre la solita energia vibrante dal palco alla tribuna più alta. Non c’è anima che non si senta presa per mano e proiettata dentro un ciclone che la travolgerà per tre ore e mezza e nei successivi anni della sua vita. Esagero? Chi è stato a un concerto di Bruce può mai dire di aver semplicemente “assistito” allo show, o è qualcosa che si è vissuto così intensamente che ci si continua a portare dentro fino al successivo incontro col Boss? Sinceramente non ne conosco uno…Insomma, vacci anche solo una volta e sei fregato, irreversibilmente contaminato da quelle benefiche radiazioni emanate dalla sua carica e dalla sua straripante energia (mi sembra di parlare di un santo o un’entità soprannaturale…!): da quel momento sarai costretto anche tu a sottoporti a innumerevoli fatiche fisiche e umiliazioni psichiche, fatte di attese, evangelizzazioni anche sfidando i più recalcitranti e scettici, spese e follie per assicurarti sempre e comunque, costi quel che costi, biglietti e posti in prima fila. Sì, Bruce è il Maestro della felicità! E pensare che c’è gente che paga lo psicanalista fior di quattrini, anni di corsi yoga o viaggi in India per trovare la stabilità interiore: in realtà basta una serata dal Boss, vedi la luce, ti chiarisci definitivamente sul chi sei e sul che ci stai a fare in questo mondo, e stai a posto per una vita.

Bruce caccia dal cilindro Downbound TrainYoungstown e Murder Incorporated  travolgenti, che cantiamo senza più fiato in gola, strafatti di rock e di felicità; e ancoraJohnny 99 già eseguita a Milano ma riaccolta con ovazione, Because The Night e poi una versione di Thunder Road epica, con l’attacco finale dei fiati che mai avrei pensato potessero aggiungere qualcosa a qualcosa già di per sé perfetto. Ma Bruce è Bruce anche per questo. Poi l’apoteosi con Rosalita,Born to Run con Elliot Murphy, una scatenatissima Seven Nights To Rock fino a Tenth Avenue Freeze Out che – con le immagini degli occhioni sereni ma un po’ malinconici di Big Man che sembra guardarci dall’alto- chiude il fantastico, magico, leggendario Italian Tour.

Brividi. Lo stadio mestamente si svuota.  Già la nostalgia per quella esperienza indimenticabile si legge negli occhi di chi, per quest’anno, ha concluso; già la voglia di rivivere queste emozioni si rivela nei volti euforici di chi, invece, prevede altre tappe. Ogni ulteriore commento è superfluo.

Clarence, ci sei mancato tanto, ma… WE ARE ALIVE! E’ la forza del rock, è la passione e l’amore che ci avete insegnato tu e quello strano personaggio che ti sei scelto per quarant’anni come amico. E siamo sicuri che sei felice così, e che sei molto fiero di noi.

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 The Boss, adrenalina pura a Trieste

Tre ore e venti per Bruce Springsteen davanti a trentamila in estasi al Nereo Rocco. Alla fine si inginocchia sfinito e poi urla per tre volte «Vi amo»

The Boss, agguanta una spugna e se la strizza in faccia. Ma non è abbastanza, l’adrenalina è un branco di cavalli selvaggi e Springsteen prende tra le mani la tinozza con le spugne per rinfrescarsi durante il concerto, beve un bel sorso d’acqua e poi la svuota lanciandola in aria. Inzuppato salta sul pianoforte bianco latte e, a braccia aperte, in estasi accoglie le urla dei trentamila di Trieste. Questa scena, arrivata tre ore abbondanti dopo l’inizio del live, racconta meglio di tante analisi musicali il concerto che lunedì ha fatto impazzire lo stadio Nereo Rocco. Tre su tre per quanto riguarda l’Italia. Milano, Firenze e Trieste per una platea totale di 130mila spettatori: un “Wrecking ball tour” da scolpire nel marmo dei concerti del Boss assieme alla fedele E Street Band in Italia. Un tour di rinascita, un tour per esorcizzare il fratellone che non c’è più, Big Man ovvero il sassofonista Clarence Clemons, scomparso improvvisamente un anno fa.

Alle 21.15 perfette Bruce Springsteen sale sul palco e, bisogna ammetterlo, fa l’unico errore della serata urlando “Mandi Trieste” (e poi “Dobrodošli”), confondendo il Friulano con il Giuliano. Peccato veniale comunque, soprattutto visto lo spettacolo da estasi musicale, che ha regalato nelle tre ore e 20 minuti successivi. La prima parte di scaletta ricalca il concerto del giorno prima a Firenze. Si parla di capolavori, “Badlands” e “No surrender” con i cori a due di Steven Van Zandt. Poi passano “We take care of own”, già un classico del repertorio impreziosito dal violino di Soozie Tyrell e “Wreking ball” con il verso “hard times come and hard times go” che cantato da Bruce sembra un buon consiglio ad un amico. Le canzoni arrivano come un forte vento di bora, non lasciano spazio al respiro, una dietro l’altra. Dopo “Death to my hometown” il rocker legge in Italiano “Ciao Trieste come va? È bello essere qui, questa nuova canzone parla di saluti e arrivederci, le cose che ci lasciano e le cose che rimangono per sempre” e arriva “My city of ruins” che si dipana in una jam bellissima che serve al Boss per presentare la band, “chi c’è in casa stasera?”, si chiede, “Patty (ndr, Scialfa) è rimasta a casa con i figli ma vi saluta tutti”.

Poi ad uno ad uno presenta The E Street Band, Roy Bittan, piano, Nils Lofgren, chitarre ritmica e solista, Garry Tallent, basso, Steven Van Zandt, chitarre, Max Weinberg, battiera. A cui si aggiungono Soozie Tyrell, violino, chitarre, percussioni, Charles Giordano, organo e piano, oltre a Clark Gayton, trombone, tuba e percussione, Eddie Manion, sassofono e percussioni, Curt Ramm, tromba e percussioni, Barry Danielian, trombe e percussioni, Jake Clemons, sassofonista nipote di Big Man, e Everett Bradley, percussioni. E pure The E Street Choir formato da Curtis King, Cindy Mizelle e Michelle Moore. Toccante, il “Manca qualcuno, ma posso sentirli nelle vostre voci” con due fari che illuminano le postazioni che una volta occupavano Clarence Clemons e Danny Federici. Springsteen da predicatore nero urla “Can you feel the spirit now?” tirando fuori una versione blues-funky di “Spirit in the night” veramente perfetta. Arrivano anche i gioiellini richiesti dal pubblico come “Downbound train”. “In America i tempi sono stati molto duri la gente ha perso il lavoro, le case e c’è pochissimo lavoro – dice Springsteen in italiano sugli accordi di “Jack of all trades”- so che anche qui è stato durissimo e il recente terremoto ha contribuito a questa situazione: questa è una canzone per tutti quelli che stanno lottando”.

Le sorprese iniziano a fioccare “Youngstown”, “Murder Incorporated”, il rock ‘n’ roll classicissimo di “Johnny 99”. Si segue la scia con “Working on the Highway” spensierata come una sera d’agosto, e “Shackled and Draw”, da Delta del Mississipi, nero come il fondo del pozzo e potente come una locomotiva a vapore. Su “Waitin’ on a Sunny Day” il Boss fa salire sul palco un bimbo che se la cava pure benino, conquistando tutto quando si gira e apostrofa il gruppo con “came on E Street Band!”. È “dedicata a tutte le donne” “The Way You Do The Things” dei Temptation con tanto di ragazzina che balla sul palco. Poi si cambia atmosfera: armonica in bocca, un filo di percussioni e via con “The river” e la malinconia si taglia come una nebbia fuori stagione. “Because the night” è da togliere il fiato, non ce ne vorrà Patti Smith: la chitarra di Little Steven mette il sigillo in ceralacca del capolavoro per una versione languida ed solenne che anticipa l’esplosione rock di “The rising”. Ancora “We are alive” esplode come un fuoco d’artificio tex mex con trombe e tamburo e fisarmonica, e con tanto di accordo conclusivo di “Ring of fire” di Johnny Cash. In “Thunder road” la voce del Boss sembra avere la nostalgia che si trova nelle poesie di Saba, e l’assolo di sax di Jack, nipote del Big Man, sottolinea il sentimento.

Dal pubblico pesca il cartello per “Rosalita (Come Out Tonight)” e all’urlo ripetuto tre volte di “Siete pronti?” batte come il martello di Thor “Born in the USA”, da brividi, heavy, pesante e cattiva. Il tempo di cambiare accordo e via con “Burn to run” (con guest star Elliott Murphy) con le luci accese e chitarra sul pubblico che tocca le corde. “Bobby Jean” è delicata come un vecchio amore, “Hungry heart” un inno collettivo e “Seven nights of rock” rock old style. “Dancing in the dark” è festa collettiva con fan chiamati a ballare sul palco. “One more for Trieste!” grida Springsteen e il gran finale è con “Tenth Avenue Freeze-Out” che racconta la formazione della band: d’improvviso sui versi “When the change was made uptown and the Big Man joined the band” il gruppo si ferma e nel silenzio assoluto il Boss allunga il microfono sul pubblico che applaude alle immagini del sassofonista morto. La musica riprende, il concerto sta finendo, il Boss è in ginocchio finito, ma si rialza per dare il cinque al pubblico. “Vi amo vi amo vi amo” saluta Springsteen: nessuno è come il Boss.

Francesco Verni (Il Corriere del Veneto)

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