Una retrospettiva suggestiva, quella di cui parleremo oggi, a proposito dei concerti No Nukes, no al nucleare.
Altri tempi, altra politica, altri artisti e soprattutto altra partecipazione della società civile, ma un filo rosso che unisce l’oggi al ieri, il tema del nucleare. Una storia che va raccontata a beneficio dei più giovani, per dimostrare che cambiare è possibile e che si può essere padroni del proprio destino, basta volerlo.
Dobbiamo tornare al 1979, all’indomani dell’incidente di Three Mile Island, in Pennsylvania, quando un gruppo di artisti statunitensi decise di unirsi in un gruppo di pressione (MUSE – Musicians United for Safe Energy, ossia Musicisti Uniti per un’energia sicura) che avrebbe sostenuto la posizione del no al nucleare, finanziando movimenti anti-nuclearisti e sensibilizzando l’opinione pubblica americana.
Tra i promotori dell’iniziativa vi erano artisti del calibro di Jackson Browne, Graham Nash, Bonnie Raitt e John Hall, che riuscirono a coinvolgere nell’iniziativa pezzi da novanta del panorama musicale dell’epoca, tra cui Bruce Springsteen e la E-Street Band, Crosby Stills e Nash, James Taylor, Carly Simon, Colin Young, Tom Petty ed altri.
I MUSE tennero una memorabile serie di cinque concerti al Madison Square Garden di New York nel settembre 1979 per sensibilizzare il pubblico sul tema delle scelte energetiche. Concerti che rimangono nella memoria di molti appassionati anche in virtù delle esibizioni di Bruce Springsteen e della E-Sreet Band incredibili per la sua intensità.
Ma qual è stata l’eredità di No Nukes? Sono solo canzonette, come diceva Edoardo Bennato?
Tutti concordano sul fatto che No Nukes fu qualcosa di più del classico concerto di sostegno ad una causa specifica: per alcuni storici, quello di No Nukes fu il colpo di coda del movimento hippy e dei sessantottini, che dimostrarono di avere mantenuto comunque un potere mediatico anche nel decennio successivo.
Fu ad ogni modo un evento che mise in dubbio un orientamento politico che non era più in sintonia con la volontà dei cittadini e che contribuì a fermare sostanzialmente il programma nucleare americano. Una evento che causò polemiche e controversie, ma che vide alcuni artisti con la schiena più dritta di molti giornalisti ribattere colpo su colpo ai tentativi di delegittimazione, che arrivavano da più parti: memorabile la risposta che diede Bonnie Raitt a un giornalista che le chiese se non fosse fuori posto un musicista a pontificare sui rischi del nucleare. La caparbia Bonnie rispose testualmente: “Non saremmo qui a protestare se la stampa avesse fatto il suo dovere nell’informare il pubblico sui rischi del nucleare”.
Una storia paradigmatica, quella di No Nukes, che va ricordata anche per la sua attualità.
testo di Manlio