La storia del rock è passata per “Born To Run”. Ci è passata e si è arricchita. Era il 1975 e Springsteen aveva già pubblicato due album di notevole spessore ma, nonostante ciò, non era ancora stato notato dal grande pubblico. Springsteen aveva avuto campagne promozionali in cui veniva indicato come il “Nuovo Dylan” in occasione dell’uscita del primo LP e come il “Poeta della strada” in occasione della pubblicazione del secondo. Che se ne rendesse conto o no, con due album ancora “aspri” alle spalle, la risposta alla presunta grandezza di Springsteen era tutta affidata al terzo disco.
Alle spalle di questo disco vi sono stati interminabili ed angosciosi set di registrazione, perché oramai si sentiva di avere il fiato sulle spalle delle case discografiche e del pubblico. Ma il frutto di questo incredibile ed interminabile impegno sarà il disco della maturità del cantante. Quello che cerca è un misto di wall of sound di Phil Spector, blues, R’ n B’ e rock and roll. Questo disco sarà contrassegnato dalla drammaticità e dalla epicità delle canzoni e, soprattutto da un sound assolutamente grandioso.
Il disco inizia come meglio non si potrebbe con “Thunder Road”.
Con delicate note di pianoforte ed armonica in sottofondo ed, a seguire, una dolce chitarra. Un crescendo. Lenta, dolente, fa innamorare per sempre chi la ascolta dopo solo 10 secondi. Provare per credere. Questa strada, con la sua promessa di libertà, mostra per la prima volta, il desiderio di fuga verso qualcosa e con qualcuno, di inseguimento di un sogno che si può realizzare credendoci, correndo e abbandonando la vita quotidiana, affidandosi ad un auto ed una chitarra. Una promessa di qualcosa di meglio di quello che ci può riservare il presente. Quasi ogni verso di “Thunder Road” sintetizza la poetica di Bruce e l’intero testo rimane una delle sue composizioni più grandi in assoluto. Il tema centrale è il desiderio di fuga. La canzone ha inizio con l’accorato invito del protagonista a Mary perché lo segua: “la porta sbatte – il vestito di Mary svolazza – come una visione lei balla sotto la veranda – mentre la radio suona – Roy Orbison canta per i solitari“.
“Backstreets”: questa è un’altra delle canzoni simbolo di Springsteen. Prende subito allo stomaco. Impossibile resistergli. Ci si lascia immediatamente andare sulle sue note. Bruce narra una storia in cui ogni immagine è nitida e si staglia precisa, realizzando una specie di racconto cinematografico in cui i personaggi si immaginano senza difficoltà. Il tono epico dell’album si ritrova completamente in questa canzone. Una storia di fuga per le strade secondarie di periferia. Una dichiarazione di impotenza. Una notte in cui non si scorge l’alba. Le difficoltà di una vita quotidiana. E sempre la voglia di una fuga per trovare qualcosa di più. Un amore o una corsa in macchina: “abbracciati stretti nelle nostre auto – aspettando il rintocco delle campane – nel cuore della notte – dimenticavamo tutto”.
“Born To Run”, “nato per correre”, o forse meglio, “per fuggire”, è la frase che riassume in sè i temi dei racconti contenuti nell’album, così come il giro di chitarra che si sente per tutto il brano: veramente solenne e struggente. Springsteen si fa cantore di una corsa eterna, giovane e ribelle. Un’epopea incredibile per forza ed impeto. Ed una canzone che, ogni volta, fa urlare a pieni polmoni quella voglia incredibile che si ha, solo, a venti anni. Una voglia di tutto. Amore, gloria, fuga. Un ritornello che rimarrà dentro ogni fan della musica rock. E sentire dal vivo questo “muro” di suoni, urlata in uno stadio con migliaia di altri sognatori da pace al cuore: “un giorno babe – non so quando – arriveremo – dove davvero vogliamo andare”.
“Jungleland”, è un brano musicalmente maestoso, con frequenti cambi di ritmo ed indimenticabili assoli. Perfetta colonna sonora di un ipotetico film di Scorsese. E’ una canzone composta per immagini e situazioni: scontri tra bande, una storia d’amore, una notte intensamente vissuta. E’ una canzone in bilico tra sogno e realtà: “il mondo intero è avvolto nel silenzio – stanotte – mentre noi prendiamo il nostro posto – nella giungla d’asfalto“.
Queste le canzoni storiche. Ma questo disco di storico ha tutto. Compresa l’incredibile “Tenth Avenue Freeze-out” con un suono molto “Phil Spector”. Eccezionale Big Man, ovvero Clarence Clemmons, al sassofono. Glorioso.
“Night”: veloce e potente come un treno merci. Qui c’è il riferimento del lavoro in fabbrica col suo ritmo martellante dal lunedì al venerdì. Ed, in contrapposizione, la magia della notte. Con le sue possibilità di rivincita.
“Meeting Across The River”. Solo basso, pianoforte ed una tromba solista. Una musica semplice e d’atmosfera. Sembra di passeggiare col bavero alzato in qualche stradina di Brooklyn. Molto New York style.
Avrete compreso che il rock, con queste canzoni, ha rinnovato sé stesso.
Lo ascoltai, guardando quella copertina in bianco e nero, con stupore, meraviglia ed una grande emozione. Quella emozione che provi quando guardi, da solo, fuori la finestra un cielo stellato in una notte d’estate. E sogni, e speri e ti innamori. Recensione di Massimof
The E Street Band
- Bruce Springsteen – lead vocals, lead and rhythm guitars, harmonica, percussion
- Roy Bittan – piano, Fender Rhodes, organ, harpsichord, glockenspiel, background vocals on all tracks except “Born to Run”
- Clarence Clemons – saxophones, tambourine, background vocals
- Danny Federici – organ and glockenspiel on “Born to Run”
- Garry W. Tallent – bass guitar
- Max Weinberg – drums on all tracks except “Born to Run”
- Ernest “Boom” Carter – drums on “Born to Run”
- David Sancious – piano, organ on “Born to Run”
- Steven Van Zandt – background vocals on “Thunder Road”, horn arrangements
Diamo un volto agli Additional musicians che hanno collaborato alle registrazioni tenutesi presso i Record Plant 914 Sound Studios, Blauvelt, New York tra Maggio 1974 e Luglio 1975
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