Genesi di un disco e dell’immaginario rock di Bruce Springsteen
Era nato per correre e per camminare nel sole ma poi decise di fermarsi ai margini della città in cui era cresciuto, costringendo se stesso e i propri eroi popolari a osservarsi in un momento critico della propria vita, quando precipitiamo o impariamo a convivere coi nostri limiti. Come canta la canzone “Darkness on the Edge of Town”, Buce Springsteen salì sulla collina nel 1978 per pagare il prezzo del successo ottenuto tre anni prima con l’album “Born to run”, risolvere il problema giudiziario col produttore discografico Mike Appel, trovare il disco perfetto e i dieci brani che ineccepibilmente definissero la sua angoscia e la sua volontà di resistenza. Dopo la musica potente e romantica di “Born to run” Springsteen si tuffò nel cuore nero e in bianco e nero dell’America, registrando su vinile il viaggio dei suoi loosers verso la Terra Promessa. Di quel viaggio, meglio della sua genesi musicale, ci racconta il documentario di Thom Zimny, un prezioso discorso interno all’arte springsteeniana.
Per intercettare lo spazio della creazione, il regista americano recupera filmati inediti di Springsteen e della E Street Band girati tra il ’76 e il ’78, facendoli dialogare nel presente con i protagonisti e i comprimari che tanta parte hanno avuto nel processo di produzione di “Darkness of The Edge of Town”. Il risultato è un film che rappresenta le cose dal di dentro e costruisce punti di vista inediti, è cinema musicale o cinema rock. Novanta minuti di parole, colori e note che invitano lo spettatore a tentare il viaggio accanto ai personaggi “consumati, invecchiati ma mai vinti” che abitano le Badlands del New Jersey. Due facciate ‘confinano’ i ragazzi fuggiti in “Born to run” in cerca di gloria e tra due facciate adesso fanno i conti con la propria sconfitta, la disillusione e la non corrispondenza tra mito e realtà. Dentro un primo piano Bruce racconta Springsteen e la realizzazione del suo disco livido e neorealista, asciugato dall’enfasi dei suoi esordi e saturo di vita da vivere nonostante le promesse spezzate. “Darkness of The Edge of Town” suggerisce l’idea del dubbio, la visione realistica (e critica) dell’american dream e la presa di coscienza dei problemi collettivi che diede un significato altro e direttamente sociale alla sua musica. Note (e testi) che cominciavano a nutrirsi di letteratura americana (da Flannery O’Connor a John Steinbeck) e dei valori ideologici e morali degli eroi di John Ford, evocando sequenze notturne in bianco e nero in cui iniziare la strada finendo prigionieri in un parcheggio o nascosti in strade secondarie.
Thom Zimny, dopo un impegno durato dieci anni, porta sullo schermo l’immaginario rock del Boss, songwriter ossessivo-compulsivo, appassionato fino allo spasimo, esploratore di nuovi spazi sonori, perfezionista della parola che pesca da un quaderno magico. Un pozzo dei desideri riempito di spare parts, pezzi di ricambio da sostituire per “fare partire” canzoni e ripartire Cadillac long and dark. Versi alternativi e finali alternativi per ‘riparare’ le vite di uomini che hanno smesso di sentire dietro ai cancelli della fabbrica (“Factory”) e donne che bruciano gli occhi e mandano in fiamme il cuore nel chiuso di una stanza (“Candy’s Room”). Con The Promise ancora una volta Bruce scende in strada a gareggiare con Sonny e a incontrare la ragazza di un altro, a uccidere Abele e a ereditare la colpa del padre, a correre a tutta birra sull’asfalto e a camminare come Marlon Brando ad Asbury Park. Posando scapigliato davanti a una tappezzeria di rose centifolia o a un pianoforte lucente come una Cadillac, il rocker che superava James Bond in sex appeal (“I’m a Rocker”) promette di non frenare la corsa e il furore del (suo) rock, sempre affamato e deciso a provarlo tutta la notte e ancora una notte.
Marzia Gandolfi