Accadde oggi!
Qualche giorno dopo gli attentati dell’11 settembre 2001, si racconta che un ragazzo, mentre stava guidando, riconobbe Bruce Springsteen che passeggiava per strada e semplicemente gli gridò: «We need you!» – abbiamo bisogno di te. In quei giorni difficili per gli Stati Uniti una delle poche cose che può dare consolazione è appigliarsi a figure di riferimento, a persone la cui arte è in grado di smuovere i sentimenti più profondi. E Bruce Springsteen rispose prontamente all’appello, dando alle stampe, di lì a meno di un anno (l’album uscì nel luglio del 2002), uno dei suoi migliori lavori di sempre: The Rising.
Il Boss riunì attorno a sé l’E-Street Band, con la quale ufficialmente non collaborava sin dai tempi di Born in the U.S.A. ( 1984) -sebbene avesse continuato a collaborare con molti membri del gruppo, ma sotto il marchio E-Street non erano più stati pubblicati album di inediti – cui aggiunse altri musicisti su alcuni nuovi brani, per un totale di cinquantuno componenti coinvolti nelle registrazioni dell’album, la cui produzione fu affidata a Brendan O’Brien.
Tutti i quindici inediti vertono attorno al tema dell’attentato dell’11 settembre e a ciò che ne conseguì, in termini di dolore, smarrimento, paura ma, soprattutto, alla necessità di trovare la forza di ripartire e di rinascere dalle macerie (da cui il titolo dell’album). Così tutte le canzoni dell’album partono dall’11 settembre per arrivare a riflessioni più generali sull’uomo, la sua debolezza nei momenti difficili, ma anche la sua capacità di trovare poi la forza di rialzarsi.
Si apre quindi con Lonesome Day, che tratteggia il senso di solitudine e impotenza con il quale il popolo da quel giorno si sentì inevitabilmente assalito. “Better ask questions before you shoot”, è probabilmente il verso più importante del brano, un messaggio valido sia per i terroristi che per gli americani, per i quali la sola vendetta cruenta non avrebbe mai risolto i conflitti (Springsteen è sempre stato un acerrimo avversario di Bush: e la Storia ha ancora una volta dato ragione al Boss). Into the Fire, struggente ballata in memoria dei vigili del fuoco morti l’11 settembre, è una sorta di preghiera laica rivolta a chi, per salvare gli altri, perse la vita al World Trade Center (“May your strength give us strength / May your faith give us faith / May your hope give us hope / May your love give us love”).
In coerenza con tutta la poetica springsteeniana, la chiave di lettura del racconto di Bruce anche stavolta è il punto di vista della gente comune. Brani drammatici come Empty Sky, Nothing Man, The Fuse, You’re Missing, si alternano a canzoni di speranza come Waitin’ On a Sunny Day, Countin’ On a Miracle e Mary’s Place, e a quelle in cui si auspica un futuro di reciproca comprensione tra i popoli, come Let’s Be Friends e Worlds Apart. Tra l’altro, la scelta di suonare i quindici brani in stili diversi è assolutamente emblematica della volontà di creare un album “universale”, la cui musica possa raccogliere il mondo intero in un singolo e comune messaggio di pace.
L’album si chiude con altre due perle. La prima è la title-track The Rising che condensa tutti i segnali di speranza presenti nell’album: è un’esplosione di gioia che si alza in un crescendo fino al cielo, un canto di chi, curatosi le ferite, non dimentica il male subito ma capisce di essere stato in grado di superarlo (è il brano che poi il Boss avrebbe cantato a Washington per festeggiare la vittoria alle elezioni di Barack Obama, da lui sostenuto con tutte le forze: questa storica esibizione rafforza ancora di più il messaggio della canzone). La seconda – che chiude l’album – è la struggente My City of Ruins, brano scritto due anni prima e poi riadattato dopo l’11 settembre (la prima esibizione col testo nuovo risale già al 21 settembre 2001, quando Bruce presentò il brano al concerto “America: A Tribute to Heroes”, in cui ventuno artisti internazionali parteciparono a una serata musicale di cordoglio per le vittime degli attentati e di raccolta fondi per i loro parenti).
The Rising risulta un album straordinario, potente ed emozionante, ancora fortemente (ahimè) attuale proprio per quel carattere di universalità che lo connota. Un lavoro, in una parola, monumentale in cui, non solo l’America, ma il mondo tutto continua a riconoscersi.
Formazione
- Bruce Springsteen – Voce, chitarra, armonica a bocca
- Tiffany Andrews – Cori
- David Angell – Violino
- Larry Antonio – Cori
- Roy Bittan – Organo, pianoforte, tastiere
- Clarence Clemons – Sassofono, cori
- David Davidson – Violino
- Connie Ellisor – Violino
- Danny Federici – Organo, fisarmonica
- Jere Flint – Violoncello
- Lee Larrison – Violino
- Nils Lofgren – Banjo, chitarra, dobro, cori
- Edward Manion – Sassofono
- Brendan O’Brien – Glockenspiel
- Lynn Peithman – Violoncello
- Mark Pender – Tromba
- Carl Rabinowitz – Violoncello
- Richie Rosenberg – Trombone
- Jane Scarpantoni – Violoncello
- Patti Scialfa – cori
- Pamela Sixfin – Violino
- Michael Spengler – Tromba
- Garry Tallent – Basso
- Julie Tanner – Violoncello
- Soozie Tyrell – Violino, cori
- Alan Umstead – Violino
- Mary Kathryn Vanosdale – Violino
- Steven Van Zandt – Mandolino, chitarra, cori
- Jerry Vivino – Sassofono
- Max Weinberg – Batteria
- Kris Wilkinson – Violoncello