30 Settembre 1982 usciva NEBRASKA di Bruce Springsteen

Accadde oggi!

Pubblicazione 30 Settembre 1982

Bruce Springsteen – Voce, chitarra, armonica, basso

Springsteen registrò con un multitraccia portatile a 4 piste una serie di canzoni in versione demo, usando solo la chitarra acustica e poco altro, per poi successivamente registrare le versioni definitive in studio con la E Street Band. Springsteen tuttavia, insoddisfatto degli arrangiamenti con la band, decise alla fine di dare alle stampe il demo originale. Ne risulta un lavoro dai testi amari e dal ritmo lento: questo album spezza completamente la discografia finora proposta in quanto collezione di canzoni completamente monocorde e dai testi molto più poetici, folk e politicamente radicali. Secondo Dave Marsh, critico specializzato nella biografia di Springsteen, questo album è stato scritto in un periodo di depressione. Nel 1991 l’attore e regista Sean Penn produsse il film The Indian Runner (Lupo Solitario in italiano), pellicola completamente ispirata ad Highway Patrolman. I personaggi, le ambientazioni e lo stile narrativo sono una trasposizione fedele della canzone, di cui il film diventa omaggio ed estensione.

Il registratore Teac Tascam 4 piste usato per le registrazioni di Nebraska.
Il registratore Teac Tascam 4 piste usato per le registrazioni di Nebraska.

Nebraska

Ne­bra­ska è una delle pie­tre mi­lia­ri del Boss. È il disco che non ti aspet­ti e che so­prat­tut­to non si aspet­ta chi di Spring­steen co­no­sce solo la di­stor­ta im­ma­gi­ne del Rambo con la Fen­der, co­strui­ta 2 anni più tardi con Born in the USA. Ma in real­tà, que­sta è una delle tante facce di Spring­steen, si­cu­ra­men­te la più in­ti­ma e can­tau­to­ria­le, quel­la in cui il No­stro mette a nudo e mette in gioco i suoi sen­ti­men­ti, le sue paure, i suoi la­men­ti, le sue do­man­de, i suoi umori, la sua mo­ra­le, at­tra­ver­so il rac­con­to di sto­rie di vita e at­tra­ver­so i ri­cor­di della sua in­fan­zia. Spring­steen va alle ra­di­ci del folk ame­ri­ca­no, pas­san­do per Gu­th­rie eDylan, e si gua­da­gna un posto d’o­no­re tra i pro­ta­go­ni­sti di que­sto ge­ne­re, spaz­zan­do via con largo an­ti­ci­po le fu­tu­re cri­ti­che dei mal­pen­san­ti che hanno sot­to­va­lu­ta­to spes­so e vo­len­tie­ri la sua opera.

Il clima che si re­spi­ra non è più quel­lo di chi fugge da una vita non sua, di chi corre per vin­ce­re come in Born to run, ma è il clima di chi fugge dagli er­ro­ri che ha com­mes­so e ai quali dif­fi­cil­men­te potrà ri­me­dia­re. Si fugge dal pec­ca­to per la­var­si le mani. Si guida un’au­to a 100 mi­glia ora­rie lungo una de­ser­ta stra­da del ca­nyon, per pro­va­re a pas­sa­re il con­fi­ne. Si fugge dalla Terra Pro­mes­sa dopo che il Gran­de Sogno è sva­ni­to e forse non è mai esi­sti­to. Ogni album di Spring­steen rac­con­ta di un sogno, del Sogno, e in Ne­bra­ska, il sogno di­ven­ta di­sil­lu­sio­ne. Di­sil­lu­sio­ne an­co­ra più gran­de di quel­la che tro­via­mo in “Dar­k­ness on the edge of town”. Muore anche quel­la vo­glia di di­men­ti­ca­re che po­te­va­mo tro­va­re in The river.

Spring­steen re­gi­strò il disco in un pe­rio­do ab­ba­stan­za buio della sua vita. Un pe­rio­do di ir­ri­so­lu­tez­za e gran­de ir­re­quie­tez­za, sem­pre alla ri­cer­ca di quel qual­co­sa che gli man­ca­va. E in quel cupo mo­men­to di gran­de so­li­tu­di­ne, Spring­steen re­gi­strò uno dei suoi gran­di ca­po­la­vo­ri, il suo disco più sin­ce­ro, come lui stes­so l’ha de­fi­ni­to. La leg­gen­da (ormai Sto­ria del Rock) vuole che Bruce re­gi­strò i brani su un na­stro con un Teac Ta­scam Se­ries 144 a quat­tro piste per farli sen­ti­re alla Band e al pro­dut­to­re Jon Lan­dau. Li aveva re­gi­stra­ti nella loro ver­sio­ne più scar­na: voce, chi­tar­ra, ar­mo­ni­ca e qual­che ta­stie­ra quasi na­sco­sta.  E su­bi­to ini­zia­ro­no le prove con la Band alla ri­cer­ca del giu­sto ar­ran­gia­men­to. Ma i gior­ni in sala prove pas­sa­va­no senza che si ar­ri­vas­se a un punto di equi­li­brio tra l’in­ten­si­tà dei brani e la po­ten­za della E Street. E così, alla fine, si de­ci­se di te­ne­re le grez­ze ma calde ver­sio­ni re­gi­stra­te in casa dal Boss. Una scel­ta molto ri­schio­sa, ma as­so­lu­ta­men­te az­zec­ca­ta.

L’al­bum si apre con la title track Ne­bra­ska, che an­ti­ci­pa le te­ma­ti­che di “Na­tu­ral Born Kil­lers”, pro­se­gue con Atlan­tic City, il sin­go­lo del­l’al­bum ac­com­pa­gna­to da uno splen­di­do video in bian­co e nero che spiaz­zò la co­lo­ra­tis­si­ma e ba­roc­ca vi­deo­gra­fia del­l’e­po­ca. At­tra­ver­so i dolci ri­cor­di di Man­sion on the hill, si ar­ri­va al­l’eb­bra John­ny 99, splen­di­do inno ai per­den­ti, in cui come in Ne­bra­ska è trat­ta­to il tema della pena di morte.

Hi­gh­way Pa­trol­man è in­ve­ce il rac­con­to del con­tra­sta­to rap­por­to tra due fra­tel­li, uno po­li­ziot­to e l’al­tro de­lin­quen­te, un rac­con­to degno di una tra­ge­dia greca, nel de­li­near­si dello scon­tro tra Stato e Fa­mi­glia. Da que­sto brano Sean Penn si è egre­gia­men­te ispi­ra­to per il suo “Lupo so­li­ta­rio”. Con Stra­te Troo­per ci ri­tro­via­mo per le stra­de del New Jer­sey, la terra na­ta­le del Boss. E con Used Cars si torna alle te­ne­re im­ma­gi­ni di un’in­fan­zia sem­pli­ce e so­gnan­te. Open all night, tra il dolce e il ma­lin­co­ni­co si con­clu­de nello stes­so modo di State Troo­per, con il verso “De­li­ver me from no­whe­re” (“sal­va­mi da que­sto nulla”), in­di­ca­ti­vo dello stato d’a­ni­mo dello Spring­steen del­l’e­po­ca. E si giun­ge al III ca­pi­to­lo dei ri­cor­di del­l’in­fan­zia con My Fa­ther’s house, in cui torna la fi­gu­ra del padre ed emer­ge l’in­com­piu­tez­za del rap­por­to di Spring­steen col padre Dou­glas. Il disco si con­clu­de con un ca­po­la­vo­ro come Rea­son to be­lie­ve, in cui Spring­steen cerca una ri­spo­sta. E ci la­scia in uno stato di pro­fon­da, a trat­ti ma­lin­co­ni­ca, ma me­ra­vi­glio­sa vo­glia di con­ti­nua­re a cre­de­re.

di Alessandro Lepre Gnerre

storiadellamusica.it

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