18 Ottobre 2002 – Bologna – Palamalaguti
…È bello credere che…
…The highway is alive tonight…
La strada è viva stanotte, ma non si tratta di Highway, Road, Avenue, Way, Lane, Street, cantate e poetizzate in molte canzoni di Springsteen, ed in genere da ogni cantautore o poeta della cosiddetta new frontier americana, ma più italianamente della tangenziale che porta da Casalecchio verso “tutte le altre strade” che porteranno a casa i fortunati 15 mila che hanno assistito al concerto.
Ho scritto tutte le altre strade, perché grazie alla giustificatissima esaltazione post-show, a molti stasera, è sembrato di stare “quasi copernicanamente” al centro del mondo. Anche perché, se è già molto difficile trattenere il piedino ascoltando i dischi, è inimmaginabile dal vivo assistere alla metamorfosi di un pacato 53enne del New Jersey che si trasforma sulla scena in una specie di incantatore di anime, capace di far perdere il controllo ai suoi seguaci (20-30-40-50enni) nell’esecuzione di brani come No Surrender, Mary’s Place, You Can Look, ed al tempo stesso di raccogliere dalla gente il silenzio chiesto prima di eseguire Empty Sky, per cantare del cielo lasciato vuoto dall’orrore del terrorismo, e You’re Missing (forse la più sorprendente dell’ultimo album col nuovo arrangiamento live) per parlare di chi dopo quel giorno non c’e più. È una rara, quanto particolare sensazione ascoltare il silenzio di 15 mila persone. Silenzio che dopo queste due canzoni viene interrotto dal proverbiale “UanTiuTriFor” che dà il via a “Waitin’ on a sunny day”. Ed ancora “UanTiuTriFor” per riprenderla visto che al pubblico non passa nemmeno per la testa di smettere di cantare. E se si può parlare di esplosione per Dancing in the dark l’unica parola per descrivere cosa si è visto sotto il palco durante Born to run è… è… è… mi sfugge il termine… …non mi viene quella parola… forse non c’è un termine per descrivere cosa ti appare davanti al palco, sarebbe bene chiamare un linguista e portarlo a guardare cosa succede, perché oggi forse è giunto il momento di coniare una nuova parola. L’ elenco di emozioni comprende anche il delirio Rock’n Roll per Stand on it, l’esaltazione per Badlands, e tra lacrime per Thunder Road … la gente no, non smette di cantare, e per tutta risposta Bruce torna sul palco e fa terminare canzone e concerto accompagnando al pianoforte un coro toccante per vigore e intensità. “Questa canzone l’ho scritta per la guerra in Vietman, ma stasera la canto come una preghiera di pace” con queste parole il Boss annuncia, in comprensibilissimo italiano, l’esecuzione di Born in the Usa. Canzone dai sentimenti contrastanti, in quanto da molti interpretata come “Americanismo alla Rambo” che mette lo stesso Springsteen nell’’imbarazzante condizione di dover rispondere nel 1985 anche a Reagan, il quale aveva usato questa canzone come propria bandiera elettorale, dichiarando in numerosi concerti che “forse il Presidente non ha ascoltato molto bene le parole”. Infatti qui si parla di veterani che al ritorno dalla guerra si son visti togliere ogni tutela, ogni protezione dal Paese che avevano servito, si son visti voltare le spalle dalle istituzioni che avevano difeso. Bruce restituisce dignità a quel mondo sommerso e poco celebrato da ciò che a prima vista ci viene in mente o ci viene presentato quando si parla di America, non quindi le star di Hollywood, non le soleggiate spiagge californiane, non i manager rampanti di Wall Street, non i protagonisti dell’American dream insomma, ma gli operai licenziati delle raffinerie (appunto Born in the USA), o dalle fonderie (Youngstown) in poche parole la Workin’ class, narrando i broken heroes, gli eroi battuti (Born to run) oppure esaltando le vittoriose sconfitte dei pompieri (Into the fire) riuscendo con ciò che scrive, (citando DeAndrè) a consegnare alla morte una goccia di splendore. Ma Bruce è anche narratore di terra e di strade, un evangelizzatore laico, un predicatore della terra promessa agognata ed invocata in molte sue opere, o che si tratti di giungle d’asfalto (Jungleland), o di bassifondi (Badlands), o di terre aride (This hard land) o meglio di terre di speranze e sogni (Land of hope and dream). E già, le strade, che nella storia america fanno da cornice alle persone che ci vivono all’interno e sulle quali strade si trovano delle vite che si muovono accanto, fanno da fondale per opere letterarie come quelle di Jack Kerouac o William Heatmoon con le sue strade blu (come la famosa Route 66), oppure sono crocevia della storia di questo paese come nell’epoca della grande depressione post 1929, quando bibliche migrazioni di disperati si dirigevano verso l’ovest, “senza casa, né lavoro, né pace, né tregua” ed “in attesa del giorno in cui gli ultimi saranno i primi e i primi saranno ultimi” (The ghost of Tom Joad). Strade, ancora, che possono essere vie di folli fughe verso il sole con i finestrini abbassati ed il vento che spinge dietro i capelli, ma anche strade di dolore e di morte come in Wreck on the highway o Nebraska. Quest’ultima particolarmente cruda quanto attuale (vedi l’omicida di Washington di questi giorni), che descrive la storia realmente accaduta nel 1958, allorché Charles Starkweather attraversò parte degli Usa sparando dalla sua macchina senza motivo alla gente che incontrava sulla strada. Quindi nelle liriche di Bruce si trova di tutto, ogni argomento è segnalato, ogni categoria è citata, si è così guadagnato il rispetto e la stima di molti.Lui non ha bisogno di occhiali scuri e abiti griffati per mostrarsi ed apparire sulla scena (vedi Lenny Kravitz, o qualche altro cantante nostrano), non ha bisogno di comandare le menti (c’era chi negli anni venti era riusciva a comandare la testa delle persone), a Bruce non interessa, gli basta solo comandare le mani, ne gestisce la regia al grido di “Rise your hands” e lo spettacolo è di una impressionante bellezza, quindi, niente filtri, niente barriere,sudore puro e crudo da offrire a chi gli è difronte, respirando allo stesso ritmo con gli spettatori distanti solo un metro da lui, quasi ne volesse sentire il sospiro. Sembrano frasi enfatiche, troppo esaltanti, quasi populiste, ma è bello credere che esistono ancora persone che riescono a toccare i sentimenti più puri e sinceri, persone che nelle proprie teste riescono a far viaggiare seriedi parole capaci di commuoverci, stupirci, di farci ritornare un po’ bambini, di farci ritornare a pensare a cose semplici, come a quelle frasi a volte stupidotte e cariche di infantile retorica impresse su alcune magliette su cui c’e scritto che “il mondo si divide in due parti: quelli che amano Bruce Springsteen, e quelli che non lo hanno mai visto in concerto”.
Setlist:
- The Rising
- Lonesome Day
- Night
- Something In The night (VIDEO)
- Empty Sky
- You’re Missing
- Waitin’ On A Sunny Day
- You Can Look (But You Better Not Touch)
- No Surrender
- Worlds Apart
- Badlands
- She’s The One
- Mary’s Place
- Countin’ On A Miracle
- Backstreets
- For You (solo piano)
- Into The Fire
- Stand On It (VIDEO)
- Dancing In The Dark
- Ramrod
- Born To Run (con Elliot Murphy)
- My City Of Ruins
- Born In The USA
- Land Of Hope And Dreams
- Thunder Road (VIDEO)