L’album We Shall Overcome: The Seeger Sessions di Bruce Springsteen che segnò il suo ritorno alla musica popolare americana fu pubblicato il 25 aprile 2006, appena sei giorni prima che iniziasse il tour promozionale. Destino volle che il concerto d’esordio fosse in occasione del New Orleans Jazz & Heritage Festival, il primo post-uragano Katrina. Fu proprio questa straordinaria coincidenza di temi, genere musicale e drammatico momento storico a rendere senza dubbio epico quel primo concerto. “E’ stato addirittura superiore agli standard prestazionali di Springsteen”, scrisse il critico del Los Angeles Randy Lewis nella sua recensione dell’epoca “un concerto che sembrava scaturito dal grido di gioia di una immensa festa popolare.” E che si sia trattato di un avvenimento memorabile sarà confermato dallo stesso Springsteen, che nell’autobiografia “Born to Run” ricorderà: “C’è stato uno spettacolo in America che si è distinto non solo come uno dei migliori, ma uno dei più significativi della mia vita lavorativa: quello di New Orleans”.
Per coloro che non furono abbastanza fortunati da assistere allo spettacolo, ricordiamo che esiste il download ufficiale della registrazione, una vera e propria opportunità per rivivere la performance.
Primo concerto, dunque, di quel tour in cui – all’indomani della devastazione generata da Katrina proprio a New Orleans – Bruce cantò brani che sembravano scritti apposta per quella drammatica occasione. Come “How Can a Poor Man Stand Such Times and Live?”, una dolorosa riflessione sulle rovine che aveva lasciato l’uragano alle quali aveva assistito lo stesso Bruce visitando la città il giorno prima dello spettacolo. Un interrogativo, quello lanciato con quel brano, che puntava il dito direttamente sul fallimento dei funzionari del governo, a partire dall’allora presidente Bush, chiamati in causa per affrontare la drammatica situazione. Si spinse fino a dedicare la canzone al “Presidente spettatore”.
Ma l’intera performance di Springsteen fu, come sempre, un sapiente equilibrio di pathos, solennità – come nella maestosa “We Shall Overcome” o nell’elegiaca “Eyes On the Prize” – e grande divertimento, scaturito non solo dallo spirito di alcuni brani come “Buffalo Gals”, “Pay Me My Money Down” o una reinventata “Open All Night”, ma anche dalla spontaneità dei gesti di Bruce che tra un brano e l’altro ricordavano tutta l’umanità di quel gigante sul palco.
Uno dei momenti più toccanti fu quello che vide l’esecuzione di “My City of Ruins”. “Questa è una canzone che ho scritto originariamente per la mia città Asbury Park”- disse Bruce introducendo il brano. “Alcune parti ricordano New Orleans in questo momento… quindi voglio cantarla e dedicarla alla gente e alla città di New Orleans stasera.” E al “come on rise up” migliaia di persone alzarono le mani al cielo. Scrisse Keith Spera, critico del New Orleans Times-Picyune nel 2012. “In quel momento piansi, mia moglie pianse. E non eravamo soli.”
Speriamo che quel “fratelli e sorelle non piangete, ci saranno tempi migliori” di “Mary Don’t You Weep” ci suoni anche adesso come incoraggiante profezia in questo momento difficile.