ACCADDE OGGI!
(11 aprile 1996) – Corriere della Sera
Il Boss a Roma, subito trionfo
Springsteen nel tempio della classica. Silenzio non rispettato: urla, mezz’ ora di bis. Con voce roca e tenue insieme rende irriconoscibile ” Born in the Usa ” e canta l’ America dei piu’ deboli. Quel mondo di fatica e di emarginazione narrato da Steinbeck in ” Furore “. In platea giovani e pubblico maturo.
La rockstar ha dato il via al tour italiano all’ Accademia di Santa Cecilia. “Solo, come i vecchi cantanti folk”. Duemila spettatori entusiasti. E alla fine qualche fan sale sul palco
Accademia di Santa Cecilia: ieri sera era di scena lui, Bruce Springsteen, nel santuario della classica. E sbucando sul palco, in apertura del tour acustico che prosegue stasera allo Smeraldo di Milano e sabato al Carlo Felice di Genova, non ha pensato alla raccomandazione che Maria Callas faceva ai suoi allievi della Juilliard School: “Un’ entrata e’ come ci presentiamo, e’ tutto”. Eppure e’ stato un trionfo. E dopo due ore e dieci, compresa quasi mezz’ ora di bis, superato l’ imbarazzo di una piccola invasione finale sul palco che lui respinge battendosi la fronte e dicendo, “Ah, Italia!” . tutto il contrario del silenzio che aveva chiesto alla vigilia . ha stretto la mano a tutti quelli che stavano in piedi sotto il palcoscenico, da un capo all’ altro della sala.Che entrata! Eccolo alle 21.10, col piglio sbrigativo e con l’ imbarazzo di chi va a una festa col vestito sbagliato, la camicia blu arrotolata sui gomiti. La testa quasi incassata nelle spalle. Ma il carisma e’ intatto. Dice “Buonasera Roma” ai duemila impavidi che si sono sottoposti fino a pochi minuti dal concerto a una fila chilometrica per assicurarsi il posto (prenotato un mese fa). E ha creato nervosismo pure lo slittamento pomeridiano dell’ apertura del botteghino. Bruce riempie il palco solo con la chitarra e armonica, solo con la voce roca e tenue insieme . che rende irriconoscibile “Born in the Usa”, intensa e violenta “Darkness on the Edge of Town” . con la voglia di raccontare l’ America degli emerginati, dei piu’ fragili e deboli, degli uomini alla deriva. Solo con i suoi versi che non promettono un mondo migliore, preceduti da lunghe introduzioni. Disubbidienza Nuda la musica, nuda la scenografia, un fondale nero a ricoprire i posti del coro. Nient’ altro. Non c’ e’ la liturgia festosa del rock, svanita la ritualita’ plebea, intimorita dalla severita’ della sede ceciliana. Non c’e’ traccia dei rivenditori di bibite e panini, dei resistibili odori di salsicce e porchette, gli africani che vendono bombe alla crema, le roulottes con scritto “Hot pizza”. A ricordarci che siamo nel pianeta rock ecco le perquisizioni degli agenti, i giovani scamiciati, ma c’ e’ di tutto, soprattutto un pubblico maturo, riflessivo, che lo segue da anni, maturato assieme a lui. Bruce sembra come indifferente al fragore degli applausi, chiede silenzio tra un brano e l’ altro, come nella liturgia dell’ “altra” musica, per ripercorrere insieme i sogni di diverse generazioni, che rivelano seduzioni sconosciute nella nudita’ acustica. Invano. La gente applaude, un tizio chiede piu’ volte urlando “The River”, e Bruce: “Non ne conosci altre?”. Come in un lied di Schubert, Springsteen insegue ogni sfumatura, snida con sospiri e rantoli i doppi significati, cerca il fraseggio piu’ coerente, il tono piu’ giusto per ogni sillaba. Le luci dell’Auditorio Pio non solo quelle sfavillanti e computerizzate che accompagnano i rituali carrozzoni ipertecnologici delle rockstar. Springsteen e’ illuminato da luci fisse nell’ oscurita’ della sala, lontana dalla penombra cara alle orchestre e ai quartetti. E la sua presenza a Santa Cecilia sovrappone due mondi inconciliabili. Viaggio amaro Il viaggio di Springsteen attraverso l’ America di Steinbeck, l’ epica acustica che pervade “The Ghost of Tom Joad” (l’ ultimo cd che in Italia ha venduto oltre trecentomila mila copie) all’ Auditorio Pio trasfigura in uno spaesamento, una scossa, uno choc, un orizzonte perduto che accarezza lo “spirito di frontiera”. Eppure non si respira, nella sala che ha appena ospitato i “Wiener Philharmoniker”, un senso di estraneita’ nelle sue cavalcate melanconiche, nel dolore intimista che rivela comunque la possibilita’ del conforto. Canta l’ America di Steinbeck, le migrazioni, i braccianti agricoli, il sudore, la fatica; canta l’ America delle periferie urbane degli emarginati, i luoghi remoti neppure segnati sulle carte, pezzi dimenticati dell’ Inferno vicini alla prateria che corre fino a lambire il cielo vuoto, vuota la terra, l’ aria ferma, stagnante e immobile come vetro, che scivola oltre le nuvole, come canta in “Galveston Bay”.
BRUCE DIETRO LE QUINTE:
ROMA . Per fortuna ce’ un paparazzo intraprendente che “becca” Bruce Springsteen mentre varca la porta dell’Hotel Majestic in via Veneto. E il mistero sull’alloggio dura poco. L’altra rituale curiosita’ quando sbarcano le rockstar e’ la lista delle richieste in camerino, solitamente capricciose. In linea con l’austerita’ del luogo che lo ospita, l’Auditorio Pio dell’Orchestra di Santa Cecilia, Springsteen s’e’ accontentato di un arredo discreto, un tavolo con due sedie, uno specchio e un ferro da stiro. “E sempre in viaggio, in questo periodo, e’ stanco, non ha voluto nulla di particolare”, dicono a Santa Cecilia. Ha rifiutato il camerino del direttore, che ha lasciato al capo dei tecnici, ed e’ salito al quarto piano in quello dei solisti. Aveva un sound check alle due del pomeriggio per saggiare l’acustica della sala, ma all’improvviso l’ha annullato. Problemi di montaggio. Alle sei, dopo una decina di falsi allarmi, il Boss e’ uscito dall’Hotel: un percorso di pochi metri ed e’ entrato in un furgone Nissan che lo ha portato all’auditorium dove ha provato la chitarra. Indossava un giubbotto nero di pelle, camicia verde, pantaloni neri e occhiali da sole. Se l’e’ cavata con qualche sorriso per i fans: ne’ autografi ne’ dichiarazioni. In tutto 30 secondi. Il rocker americano era accompagnato da cinque tecnici personali e dai suoi collaboratori diretti. L’unica stravaganza e’ la divisione dell’Auditorio per gli addetti in due zone: la prima presidiata dal personale tecnico italiano, l’ altra da quello straniero, l’unico che puo’ accedere al palco. C’ e’ anche John Landau, oggi suo manager e un tempo cronista nella rivista “Rolling Stone”, la Bibbia americana del rock. Fu lui a inventare lo slogan: “Ho visto il futuro del rock’ n’ roll, il suo nome e’ Bruce Springsteen”. Oggi e’ atteso a Milano per la seconda tappa del suo tour italiano: il Boss salira’ sul palco dello Smeraldo alle 21.
Cappelli Valerio
(11 aprile 1996) – Corriere della Sera
SETLIST
- The Ghost Of Tom Joad
- Adam Raised A Cain
- Straight time
- Highway 29
- Darkness On The Edge Of town
- Johnny 99
- Nebraska
- Dead Man Walking
- The Wish
- Brothers Under The Bridge
- Born In The USA
- Dry Lightning
- Spare Parts
- Youngstown
- Sinaloa Cowboys
- The Line
- Balboa Park
- Across The Border
- Bobby Jean
- This Hard Land
- Streets Of Philadelphia
- Galveston Bay
- The Promised Land
stupendo concerto