Le origini napoletane di Bruce Springsteen (parte I)

Tutti conoscono Bruce Springsteen, leggenda della musica rock mondiale, autore di album di platino, membro della Rock and Roll Hall of Fame e vincitore di un numero sterminato di riconoscimenti, tra cui venti Grammy, un Oscar, un Tony Award, Polar Music Prize e Golden Globe; e insignito del Kennedy Center Honors e della Medaglia presidenziale della libertà, massima onorificenza civile statunitense. Ma forse pochi sanno che il Boss, questa star planetaria e probabilmente il più grande performer di tutti i tempi, ha origini napoletane e, più precisamente, di Vico Equense.

Quella che un tempo era solo una deduzione tratta dal cognome materno, grazie all’infaticabile lavoro sul campo condotto dal Pink Cadillac Bruce Springsteen Fan Club e alle approfondite ricerche del professor Mario Verde, studioso di storia locale, da qualche anno è diventata assoluta certezza, approfondita con documenti di archivio e ricostruzioni genealogiche, e sancita dalla cittadinanza onoraria.

Le origini napoletane sono ascrivibili al ramo materno della famiglia Springsteen.

Sappiamo che il nonno paterno di Bruce era 50% olandese (lignaggio di Springsteen) e 50% irlandese (lignaggio di O’Hagen), la sua nonna paterna era 100% irlandese (lignaggio di Mc Nicholl) ma entrambi i nonni materni (lignaggio di Zerilli) erano italiani. Quindi, sebbene “Springsteen” sia un cognome olandese, la discendenza di Bruce è per il 12,5% olandese, 37% irlandese e 50% italiana.

Infatti il suo nonno materno, Antonio, era nato a Vico Equense (Napoli) e apparteneva a una famiglia che viveva lì da circa 40 anni. Zerilli è un tipico cognome siciliano, diffuso specialmente a Trapani e a Palermo. Potrebbe derivare dal termine greco” xeros”, che significa “asciutto – arido”, in riferimento forse alle caratteristiche del luogo di origine. Andrea Zerilli, trisavolo di Bruce, era nato a Palermo e nel 1852 nella Parrocchia dei Santi Ciro e Giovanni sposò Rosa Veniero, nipote di Luigi Serio (1744), poeta e patriota. Nella sua gioventù, Serio aveva ottenuto la fama di eccellente improvvisatore lirico, che gli procurò incarichi di poeta di corte, revisore di opere teatrali e la cattedra di Eloquenza presso la nostra Università nel 1771. Durante la Repubblica di 1799, Luigi Serio fu uno dei più ferventi patrioti, esperienza da lui stesso documentata nel suo “Ragionamento al Popolo.” Il 13 giugno, quando le truppe del Cardinale Ruffo entrarono in Napoli, Serio si precipitò a combatterle sul ponte della Maddalena e, secondo Coletta, morì sulle rive del fiume di Sebeto. Andrea Zerilli nel 1858 conduceva un Caffè o una trattoria in Piazza Fontana (Largo Fontana) in Vico Equense. Nel 1883, era tesoriere presso l’Istituto femminile di SS. Trinità e Paradiso, ufficio che sarà ereditato poi da suo figlio Raffaele. Sappiamo anche che Andrea era un appaltatore del Dazio in Vico Equense e in Massalubrense. In Vico era inoltre direttore dell’Ufficio postale. Quando la sua famiglia si ingrandì (cinque bambini, quattro nuore più di venti nipoti) Andrea comprò un suolo dove costruì un edificio in cui vivere tutti insieme e spostare il suo “Gran Caffè Zerilli.” Nel 1897 tutti gli appartamenti furono venduti eccetto il negozio. Andrea morì in Vico Equense il 27 agosto 1901 (all’età di 74 anni) e sua moglie il primo dicembre 1912 (all’età di 81 anni).

Il suo terzogenito, Raffaele, sposò Raffaella Aiello dalla quale ebbe un figlio nel 1887 e cinque figlie tra 1885 e 1896. Il maschio fu chiamato Antonio (che sarà il nonno di Bruce) e morirà in America nel 1977. Infatti la famiglia di Raffaele emigrò in America e sbarcò a Ellis Island (NY) il 3 Ottobre del 1900. Altri parenti del secondogenito di Andrea, Francesco, andarono in America nello stesso periodo tranne due figlie che lasceranno l’Italia negli anni ‘20.

Sappiamo che Antonio era un avvocato, si sposò ed ebbe tre figlie: Dora, Ida e, la più giovane, Adele Ann che sposò Douglas Frederick Springsteen, morto nel 1998. Dal loro matrimonio nacquero tre bambini: Bruce (23 settembre 1949), Virginia (”Ginny” 1950) e Pamela (1962).

SQUALLOR

08 Novembre 2020

Lo scorso ottobre, con la scomparsa di Alfredo Cerruti, se n’è andato anche l’ultimo componente dei mitici Squallor, il gruppo più dissacrante e irreverente dagli anni 70, che ci ha fatto ridere e cantare con quel mix di genialità e volgarità liberatoria che ne decretò sorprendentemente il successo.
Anche se viene spesso riconosciuto erroneamente come gruppo napoletano, gli Squallor in realtà si formarono a Milano nel 1969 da un milanese, un fiorentino e due napoletani. I fondatori, tutti grandi esponenti della musica italiana, ebbero una grande intuizione: creare un gruppo dal nulla, quasi per scherzo, mettendo alla berlina proprio quel repertorio melodico che li aveva resi importanti, con testi pieni di satira spesso sopra le righe, provocazioni, malcelate allusioni sessuali, riferimenti a una miriade di personaggi a dir poco discutibili, che facevano rabbrividire perbenisti, buonisti, bigotti e moralisti. Vero e proprio fenomeno, il loro successo fu immediato e la vendita dei loro dischi arrivò alle stelle senza live e senza pubblicità di network nazionale, potendo contare solo su quella di piccole coraggiose radio private di provincia. Così gli Squallor, senza alcuna programmazione, diventano la prima band di musica demenziale italiana e probabilmente la prima ghost band del mondo, dal momento che nessuno sapeva chi si celava dietro quelle canzoni, mistero che il quartetto riuscì a conservare per lunghissimo tempo. Il lavoro dell’insolito gruppo consisteva nel mettere in piedi una perfetta pantomima, recuperando la tradizione napoletana dell’opera buffa prima e della sceneggiata dopo, con il fine di regalare agli ascoltatori una serie di canzoni cariche di doppi sensi e di parole senza censure, con senso surreale e spesso grottesco. Eppure, dietro questo gruppo irriverente e geniale vi erano professionisti le cui singole carriere erano segnate da soddisfazioni e brani che resteranno per sempre nella storia della nostra musica. Chi erano dunque questi dottor Jekyll e mister Hyde della musica italiana? Nomi noti che tuttavia vogliamo ricordare.
Giancarlo Bigazzi, membro dal 1969 al 1994, nato a Firenze il 5 settembre 1940, voce e supervisore delle sessioni in studio di registrazione, era anche produttore discografico e scopritore di talenti. Dalla fine degli anni ’60 fino ai suoi ultimi giorni, firmò brani per grandi autori e interpreti della musica italiana come Massimo Ranieri, Adriano Celentano, Ornella Vanoni, Milva, Loretta Goggi, Gianni e Marcella Bella, Mia Martini, Francesco Guccini, Umberto Tozzi, Gianni Morandi, Enrico Ruggeri, Pupo. Appare anche come attore nei due film del gruppo, “Arrapaho” e “Uccelli d’Italia”. Muore il 19 gennaio del 2012.
Alfredo Cerruti, membro dal 1969 al 1994, napoletano del ’42, era la voce narrante del gruppo e autore per la televisione, grande produttore discografico e talent scout della musica. Per decenni è stato direttore artistico della CBS Sugar e poi della Ricordi. A metà degli anni Settanta ha avuto una relazione con la grande Mina, storia durata tre anni. Con Renzo Arbore aveva collaborato tra l’altro ai testi di «Indietro Tutta!» dando la voce al professor Pisapia ed a uno degli agenti dello sketch «Volante 1 a Volante 2». Ha firmato anche due edizioni di Domenica in. Si è spento il 18 ottobre di quest’anno.
Daniele Pace, nato a Milano il 20 aprile 1935 da genitori pugliesi, è stato membro del gruppo dal 1969 al 1985, e voce e compositore in gran parte dei testi del loro primo periodo. La sua carriera di autore e compositore lo porterà a riscuotere successi in tutto il mondo, vincendo il Grammy Music Award negli anni Ottanta per aver superato il milione di esecuzioni radiofoniche con la canzone “Love Me Tonight “interpretata da Tom Jones. La stessa canzone fu presentata al Sanremo 1968 in italiano con il titolo “Alla fine della strada”, cantata da Junior Magli e The Casuals. Daniele Pace scrisse per cantanti e gruppi divenuti pietre miliari della musica italiana, tra cui: Gigliola Cinquetti, Orietta Berti, Loredana Bertè, Caterina Caselli, I Camaleonti, Marcella Bella, Pupo e i Ricchi e Poveri. Muore a Milano il 24 ottobre del 1985.
Totò Savio, nato a Napoli il 18 novembre 1937, fu il cantante, chitarrista e paroliere del gruppo dal 1969 al 1994. Cantastorie degli ultimi 50 anni della musica leggera italiana, geniale compositore e produttore artistico, contribuì al successo di Little Tony, Renato Zero, Dario Fo, Loretta Goggi, Mina e Franco Califano, nonché autore dei successi internazionali di “Cuore Matto” e “Maledetta primavera”. Nel 1971 esce il primo disco degli Squallor di cui Savio è autore di tutte le musiche. Muore a Roma il 25 luglio 2004.
Da ricordare inoltre il fondatore e collaboratore Elio Gariboldi, che abbandonò il progetto nel 1974 e i famosi partecipanti occasionali quali Gianni Boncompagni, Red Canzian e Gigi Sabani.
La loro storia, come gruppo, procederà con alti e bassi e si concluderà nel 1994 con “Cambiamento”, ma resta ancora oggi unica nel suo genere e certamente inimitabile.

Bruce Springsteen nelle canzoni degli altri: 1990-1999 (parte II)

Copertina di un CD parodia dell’album Born To Run

La maggior parte dei fans di Bruce conosce certamente il brano che Eric Church dedicò nel 2012 al Boss, intitolandolo esplicitamente “Springsteen” e che ebbe un discreto successo arrivando al n. 1 delle classifiche Country, Top 20 Pop. Ma non tutti sanno, probabilmente, che Springsteen è citato nei testi di moltissime altre canzoni, ben prima e dopo di allora. Tante le citazioni dirette a Bruce, a Springsteen, o al Boss nel testo o nel titolo addirittura; tante quelle indirette alle sue canzoni, con snippet o interi versi ripresi. Leggi tutto “Bruce Springsteen nelle canzoni degli altri: 1990-1999 (parte II)”

Springsteen e Obama in lotta con i propri fantasmi nell’episodio 6 del podcast

E’ uscito il sesto episodio del podcast ‘Renegades: Born in the U.S.A.’ di Bruce Springsteen e Barack Obama. Stavolta la puntata si è articolata intorno al quesito, nient’affatto banale, sul significato dell’essere uomo, spesso confuso con la forza fisica, la repressione dei sentimenti, il successo definito principalmente da ciò che possiedi e la capacità di dominare piuttosto che associato alla capacità di amare e di prenderti cura degli altri. Springsteen ha raccontato: “L’arco della mia vita lavorativa Leggi tutto “Springsteen e Obama in lotta con i propri fantasmi nell’episodio 6 del podcast”

Chiude il GoodFellas, lo storico locale che ci ha regalato momenti indimenticabili

Quando chiude un locale come il GoodFellas è una sconfitta per tutti.  E’ una sconfitta per il suo proprietario Bob Gallino, che ci ha sempre creduto e tanto investito, in passione ed energie fisiche ed economiche. Una sconfitta per coloro che coadiuvavano Bob, da Salvo Parrella e Antonio Gallo a tutti i ragazzi che vi lavoravano. E’ una sconfitta per la città che ha perso l’ultimo baluardo per la musica live. E’ una sconfitta per la cultura, perché musica è cultura, e certe perdite andrebbero assolutamente scongiurate.

Vittima del Covid e colpito e affondato dalla crisi economica, ma anche dall’indifferenza nella quale si è consumata questa brutta pagina di cronaca cittadina, nonché dal cinismo e dall’ignoranza di alcuni attori della vicenda, il GoodFellas ha chiuso i battenti dopo 13 anni di attività, che lo hanno visto centro propulsore di energia, vivacità, progetti, musica di qualità e cultura. Le sue mura vibrano ancora di quella musica che tanto ci ha fatto divertire ed emozionare, suonata da cover band, gruppi emergenti o molti artisti noti come Stef Burns, Shawn Jones e Piero Pelù che sceglievano quel palco – “relativamente” giovane ma già storico – perché punto di riferimento imprescindibile per chi volesse suonare/ascoltare musica live in città. E l’atmosfera era quella giusta per fare rock – non patinata da night club o un po’ stucchevole “finto rock” – ma quella autentica, calda, essenziale ed avvolgente, dove tra il palco e i tavolini potevi incontrare amici o fartene di nuovi, mangiare e bere birra, ascoltare la musica o scatenarti fino a che non eri esausto. Perché ogni volta era una gran bella festa. Per il Pink Cadillac il GoodFellas ha significato moltissimo. E’ stato un punto di riferimento costante negli anni e il luogo dove si è consolidato il nostro gruppo. Gli artisti che invitavamo a suonare a Napoli da Graziano Romani a John Strada, da Joe D’Urso (New Jersey) a La Terza Classe – e ancora Lorenzo Semprini, Daniele Tenca, Renato Tammi, Antonio Zirilli, Luca Milani, Fabio Melis, The Backstreets, Ciro Marotta, Antonello Cacciotto, Carlo Ozzella e… last but not least, Lello Pastore e The E-ssentials, straordinaria tribute band di Bruce Springsteen, che da quel palco ci ha regalato divertimento a profusione – è al GoodFellas che davamo sempre il nostro appuntamento. Bastava chiedere a Bob, e Bob riusciva a realizzare il tuo progetto con una mentalità e una serenità che, prima ancora che da imprenditore, è sempre stata da grande amante del suo mestiere e da appassionato e profondo conoscitore di musica. Salvo Perrella al mixer audio era una sicurezza per tutti gli artisti che si esibivano e che si affidavano nelle sue abili mani. Quante serate live, quanti anniversari del Pink Cadillac, quanta gente conosciuta con la tua stessa passione, quanto divertimento, quante emozioni condivise.

Le parole di Bob arrivano dritte al cuore:

“Io sono Bob Gallino, fondatore del GoodFellas che dal 2008 è stato l’ultimo baluardo della musica live; musica di quella suonata con batteria e chitarra elettrica, di quel genere che visse bene negli anni ’80 e alla fine degli anni ’90 andò a scemare. Il GoodFellas, nel cuore del Vomero, ha attirato a se per 12 anni due generazioni di ragazzi per il semplice gusto di aggregarsi e di andare a sentire quel solista piuttosto che quell’altra band, o per la scusa del panino o della birra.

Io sono Bob Gallino e il GoodFellas era la mia attività fatta di arte, cultura, musica: svariate piece teatrali, meeting culturali e sociali, incontri con gli alunni di conservatori e scuole musicali, contest musicali e per non parlare dei concerti, i cosiddetti live: Stef Burns, Robben Ford,Greg Howe, Kiko Lourerio, Neil Zaza, Shawn Jones, Corrado Rustici, Peppino D’Agostino, Andrea Palazzo, Federico Poggipollini, Will Hunt, Juan van Emmerloot, Dennis Chambers, Marco Minnermann, Alfredo Golino, Luca Martelli, Roby Pellati, Billy Sheehan, Stuart Hamm, Max Gelsi, Antonio Righetti, Claudio Golinelli, Martin Allcock, Claudio Simonetti, Piero Pelù, Raiz, Erminio Sinni e tanti, tanti altri, per non parlare di tutti i tributi e gli omaggi e tutte le band inedite che abbiamo accolto ed aiutato a formare nel corso del tempo.Tutti professionisti della musica che si esibivano nel mio locale, tutti abituati ai grandi palchi che passavano volentieri una serata con me, con Noi.

Io sono Bob Gallino e la pandemia, un governo impreparato, un comune assente, un proprietario senza scrupoli, una Giuria poco attenta hanno fatto sì che il GoodFellas interrompesse la sua attività, che non sia più cultura, suoni, vita. Oggi non lo accetto e non ho ancora metabolizzato il lutto. Forse oggi cammino con lo sguardo calante e con la tristezza nel cuore, ma ho intravisto un bagliore di positività. Le persone che amavano il Good Fellas si sono fatte sentire, hanno mostrato la loro solidarietà e non è poco per me! Non so se mi aprirò un altro locale e se si chiamerà GoodFellas ma so che voi mi seguirete e so che seguirete il mio nome perché io sono Bob Gallino (quello col sorriso e con i dread)”.

Dritte al cuore sì, ma anche come un pugno nello stomaco. In tanti abbiamo manifestato solidarietà a Bob, ma il dato di fatto è che un coraggioso imprenditore della musica e della cultura come Bob è stato lasciato solo dalle istituzioni, e a farne le spese oggi non sono solo lui e il suo staff ma l’intera città. Una città che da oggi è più povera.

50 ANNI FA LA MORTE DI JIMI HENDRIX

Rock+Evolution=REVOLUTION

Sono trascorsi 50 anni da quando il mondo ha perso colui che viene ritenuto il più grande chitarrista di tutti i tempi e, con Elvis Presley e i Beatles, una delle più grandi icone pop degli anni ’60. Hendrix fu davvero uno straordinario musicista, forse il primo grande chitarrista nell’intera storia della musica che ne rivoluzionò il suono.
Nato a Seattle il 27 novembre 1942, Jimi Hendrix dal punto di vista strettamente tecnico ebbe il merito di aprire nuovi orizzonti al suono della chitarra elettrica, strumento per eccellenza della musica rock. Il suo stile resta unico nella storia della musica moderna, tanto da ritrovarsi sistematicamente in testa a tutti i sondaggi dei critici musicali di tutto il mondo, e al primo posto nella classifica dei 100 migliori chitarristi della rivista Rolling Stone, superando Jimmy Page e Eric Clapton. La sua caratura come chitarrista è paragonabile a quella del genio di Mozart nella musica classica e a quella del leader dei leader della musica Jazz, Miles Davis.
Cominciò a suonare la chitarra a undici anni e a sedici lasciò la scuola per darsi al vagabondaggio. Incominciò a guadagnarsi da vivere suonando in piccole band di rhythm and blues e di rock and roll. Si racconta che agli inizi – come molti chitarristi poveri del blues agli inizi della loro carriera – realizzò una sorta di cordofono con una scatola di sigari alla quale unì un elastico. Il primo approccio con gli strumenti musicali avvenne con una chitarra per destri – sebbene fosse mancino – che imparò a suonare in maniera rapida capovolgendola e rivelando da subito quella dote su cui fondò tutta la sua carriera. Virtuosismo e sperimentazione trovarono in Hendrix un’espressione mai osata prima, in cui confluirono tecnologie elettriche, amplificazione e improvvisazione, rock, blues e jazz. La sua tecnica arrivò ovunque, con corde più spesse per dare un suono più intenso e ricco, e sfruttò tutti gli effetti sonori (distorsioni, delay, wah-wah), per espandere il suo inconfondibile sound lungo scale inesplorate alla ricerca del suono perfetto. Tutta la gestualità della mano, del braccio, persino della bocca, divennero funzionali ai nuovi suoni alla chitarra: suonò con l’intero palmo della mano, con i denti, con il gomito, persino con l’asta del microfono pur di piegare le note al suo volere, con performance ed effetti inediti e strabilianti.
Jimi Hendrix venne trovato morto il 18 settembre 1970 in un appartamento in Germania che aveva affittato per il live del 6 settembre al Festival di Fehmarn. Sebbene la vita artistica dell’icona del rock si sia consumata in soli 4 anni, una delle più brevi che si ricordino, la sua straordinaria intensità – con ben tre album in studio, due album live, dodici singoli e addirittura due raccolte – la rende una delle più famose della storia della musica. Sono stati pubblicati addirittura undici album postumi, tra raccolte e progetti che Hendrix aveva in programma per la sua carriera. Jimi Hendrix è stato introdotto nella Rock and Roll Hall of Fame nel 1992.

Il furore del vinile colpisce ancora

Sembrava che ormai la musica che fino alla metà degli anni ’80 si poteva ascoltare per lo più attraverso il nastro magnetico delle musicassette e i dischi in vinili, fosse bella e sepolta. L’ascolto della musica pareva essersi incanalato in quel percorso irreversibile che avrebbe consentito, nell’arco di pochi anni, a ognuno di noi di fruirne attraverso molteplici dispositivi elettronici che con estrema semplicità troviamo in commercio. Negli ultimi 35 anni siamo passati dai compact disc (CD) al formato audio compresso MP3, fino all’ascolto e all’acquisto su Internet. Vero anche che la diffusione del formato digitale ha favorito, di conseguenza, lo spirito di condivisione e pubblicizzazione della musica, trasformando il nostro tempo libero in una dimensione che oggi definiamo social. Si può però intuire come il cambiamento della modalità di riproduzione e condivisione della musica abbia ridotto drasticamente il numero di negozi musicali, consentendo agli store online di prendere il sopravvento. Basti pensare che diverse piattaforme, come ITUNES, Spotify e YouTube, consentono di acquistare musica o di usufruirne gratuitamente direttamente dal proprio smartphone. Molti, soprattutto i giovani, credono che le componenti audio dei cellulari siano di alta qualità senza rendersi conto che sono strumenti di livello inferiore che riproducono musica a bassa definizione. Ed ecco che la comodità di avere migliaia di brani nello smartphone o nel minuscolo lettore mp3 sempre a portata di mano, con la facilità di trovare ed ascoltare qualsiasi canzone ci passi per la testa, ci sta tutto sommato annoiando… forse abbiamo bisogno di tornare al passato e alla sua materialità. Certo, il vinile non è l’ideale per gli appassionati di alta fedeltà o i fruitori assidui di generi musicali che richiedono un livello di dettaglio sonoro assoluto.

Tuttavia il fascino del “ritorno al futuro” – con il recupero di quella sorta di rito che coinvolgeva tutti i cinque sensi – sembra stia diventando sempre più una necessità tangibile e desiderabile. Chi di noi, più avanti negli anni, non ricorda quell’emozionato taglio della confezione in cellophane, l’illusoria sensazione di un inebriante “profumo” di vinile mescolato a quello del giradischi? Chi non è rimasto in contemplazione davanti alle meravigliose copertine illustrate di cartone, ascoltando quelle note delicatamente “sporcate” dai fruscii della puntina nei solchi? Guardare il disco girare sul piatto e ascoltare le piccole imperfezioni del suono è un’esperienza che molti giovani stanno riscoprendo. Il ritorno al long playing 33 giri sta diventando un’esigenza delle case discografiche per combattere la pirateria e tornare a vendere la musica anche in negozio. Da qualche anno a questa parte tutti, o quasi, gli autori contemporanei producono i loro album anche in pvc. Per la prima volta in 34 anni, quest’anno addirittura la vendita del vinile ha superato quella del cd, andando a costituire il 62% dei ricavi totali del settore fisico dell’industria musicale. Nonostante gli ostacoli che l’industria musicale ha dovuto affrontare a causa della pandemia, il nuovo rapporto della Recording Industry Association of America ha evidenziato come nei primi sei mesi del 2020 abbiamo portato solo 130 milioni di dollari del mercato musicale, mentreil vinile abbia raggiunto quasi il doppio della vendita con i suoi 232 milioni. Il vinile finalmente is back!

Tutti i premi e le esibizioni di Springsteen ai Grammy Awards

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Da oggi è disponibile su springsteenarchives.org e sulla pagina Facebook degli Archives una nuova interessante puntata di Soundstage, la serie mensile online presentata dagli Springsteen Archives and Center for American Music della Monmouth University di West Long Branch, durante la quale il produttore Ken Ehrlich e il giornalista Bob Santelli presentano tutte le esibizioni di Springsteen ai Grammy Awards. Per la 63a edizione dei Grammy Awards, lo ricordiamo, l’album Letter to You di Springsteen – pur acclamato dalla critica e ai primi posti di tutte le classifiche musicali nel mondo – non è potuto rientrare nella lista delle nominations perché rilasciato alla fine del 2020, ovvero “fuori tempo massimo” per la candidatura. Ricordiamo che  a partire dal 1995, anno in cui si aggiudicò ben 4 premi con il brano “Streets of Philadelphia”, Bruce ha vinto 20 Grammy e ha ricevuto 50 nominations.

Ripercorriamo la storia dei premi e delle presenze di Springsteen ai Grammy nel corso degli anni. Leggi tutto “Tutti i premi e le esibizioni di Springsteen ai Grammy Awards”