Mettetevi comodi, semmai con una tazza di tisana calda tra le mani, ora che finalmente si è affacciato l’inverno, e preparatevi a godere qualche ora di intense atmosfere springsteeniane. Eppure non è un disco, stavolta, che vi invitiamo ad ascoltare, ma è la spassionata esortazione ad abbandonarvi alla lettura dell’ultimo romanzo di Paolo Cognetti che con il precedente pluripremiato “Le otto montagne” ci aveva lasciato con la sensazione di essere giunti in qualche modo a una vetta letteraria, ma che ora, come si confermano i grandi scrittori, quella vetta è riuscito addirittura a superarla.
Con “Giù nella valle” – edito da Einaudi e da poco nelle librerie- siamo ancora tra le montagne, circondati dai boschi e dalle betulle bianche sulle acque gelide del fiume. Le narici bruciano dell’aria frizzante della Valsesia, dell’odore del sangue di lupi affamati e del profumo emozionante di nuovi inizi, tra rapporti sospesi e vuoti colmati al bancone del bar. Poche pagine per una scrittura asciutta e penetrante che non ha bisogno di fronzoli e giri di parole per tratteggiare con lucidità e a tutto tondo sentimenti umani e animali, in una parola, naturali nell’accezione più autentica, spietata e delicata del termine. Molto si potrebbe dire sulla fragilità dei personaggi, sulla asciutta struttura del libro, sui racconti in prima persona, sull’eleganza della scrittura, ma sono aspetti che lasciamo scoprire a chi ne affronterà la lettura, lasciandosi sedurre dalla storia e da uno stile superbi.
Cosa c’entra Springsteen? È la sobria essenzialità – diretta e immediata- del folk a fornire l’immaginario tappeto sonoro alle immagini in bianco e nero che si formano pagina dopo pagina in “Giù nella valle”, nella cornice di una natura non romanticamente idealizzata, seppur potente e rigogliosa, ma fondale di disagi sociali, fratture umane, solitudine ed emarginazione. Il prologo, crudele, si apre con una lunga scia di sangue che due cani (o forse due lupi, o anche Charlie Starkweather e Caril Anne Fugate per chi conosce Nebraska) si lasciano alle spalle alla ricerca di cibo e di riparo, o anche solo per efferatezza condannandosi a morte certa. Nel river della Sesia si bagnano i due amanti con i loro sogni giovani, ancora a colori, prima che la vita reale li annebbi. Ci sono i due fratelli di Highway Patrolman – diversi come il larice e l’abete piantati dal padre alla loro nascita- che si ritrovano dopo anni ma che, per un passato e un presente troppo ingombranti, finiscono con l’imboccare strade che divergeranno presto definitivamente. C’è il sogno di My Father’s House e la corsa nei boschi di notte, con il cuore in gola, verso il faro paterno in cerca di redenzione, prima che sia troppo tardi. E quel “Se c’è del male su questa terra è solo roba nostra” di Cognetti suona come l’I guess there’s just a meanness in this world dell’epilogo di Nebraska, in cui si prende atto a proprie spese che il male è tutto dentro di noi. Tante le suggestioni springsteeniane che emergono in modo spontaneo, come un odore ti riporta improvvisamente all’infanzia o una musica agli anni della gioventù, dialogando con Raymond Carver, Flannery O’Connor e Bob Dylan, gli stessi maestri ispiratori della letteratura springsteeniana.
Alla fine, solo alla fine – nelle note dell’autore e dopo la poetica Battaglia degli alberi (che reinterpreta il poema “Cad Goddeu” contenuto nel Libro di Taliesin del VI secolo) – si conferma il debito dell’autore con Springsteen e in special modo con Nebraska, l’album che Cognetti confida di aver ascoltato tutta la vita. Le ultime pagine del libro sono infatti tutte esplicitamente dedicate al Boss, partendo dai primi ricordi dell’autore legati alle suggestioni innescate dall’ascolto di quei versi, e ripercorrendo le tappe del percorso artistico di Springsteen, con i momenti clou e le influenze letterarie e cinematografiche che hanno ispirato la sua musica.
Il tutto è compresso in poco più di un centinaio di pagine, di lettura agilissima divorabile in poche ore serali, ma dense e ricche di poesia. Lo amerete.
Paolo Cognetti è nato a Milano nel 1978. Tra i suoi libri: Sofia si veste sempre di nero (minimumfax 2012), Il ragazzo selvatico (Terre di mezzo 2013) e Senza mai arrivare in cima (Einaudi 2018 e 2019), La felicità del lupo (Einaudi 2021 e 2023) e Giú nella valle (Einaudi 2023). Nel 2021 ha curato L’Antonia su Antonia Pozzi (Ponte alle Grazie). Sempre nel 2021 è uscito il film-documentario Paolo Cognetti. Sogni di Grande Nord. Le otto montagne (Einaudi 2016 e 2018), è stato tradotto in oltre quaranta paesi e ha vinto il Premio Strega, il Prix Médicis étranger e il Grand Prize del Banff; il suo adattamento cinematografico, diretto da Felix Van Groeningen e Charlotte Vandermeersch, ha vinto il Premio della giuria del 75° Festival di Cannes e quattro David di Donatello, tra cui quello per il Miglior film.
Bellissimo ed emozionante libro da leggere tutto di un fiato
Happy birthday dear Evan James