Due righe su Follow That Dream? Solo due righe? E’ come chiedere a Bob Dylan di spiegarci in trenta secondi come è nata “Like a rolling stone” e cosa significa per lui. Non che io sia Dylan, nè che FTD abbia l’importanza di quella sua canzone, ma l’impatto emotivo per me è grande, almeno quanto quel fragoroso impasto di suoni che si ascolta prima che Bob inizia a cantare “once upon a time you dressed so fine…”.
Quelle pagine, nate in una copisteria e poi passate – per necessità – in tipografia dopo appena un numero, sono un ricordo a me caro. Se in quei giorni di metà anni Ottanta mi voltavo a guardarmi all’indietro, il mio primo concerto di Springsteen era vicino “solo” un lustro, e con esso la mia folgorazione per un artista che negli anni a venire non avrei abbandonato più. Cosa inevitabile, perchè pur nutrendomi di molte musiche, Springsteen resta la strada maestra, quella che mi fa ancora cercare notizie con la stessa intenzione e la stessa passione che tanti ragazzi mettevano un tempo nel cercare Follow that dream e nello sfogliarla con avidità. Me lo hanno confermato in molti, negli anni, e la cosa non può che farmi piacere, perchè ricordo come fosse ieri l’impegno che ci mettevo, le notti trascorse a spillare pagine, scrivere indirizzi a mano su centinaia di buste, incollare francobolli, cercare rigorosamente al telefono o per lettera quell’informazione che volevo dare ai miei lettori.
Un quarto di secolo è andato via da quelle notti per me gloriose. Venticinque anni sono un bel pezzo di vita. Molto è successo da allora: ho gioito con Springsteen e forse per troppa convinzione nella mia passione e per una tenace onestà di fondo ho anche sofferto. Perchè è inevitabile che qualcosa che ti tocca così in profondità produca una grande varietà di sensazioni. Non saprei dire più quanti concerti ho visto e quanto ho viaggiato, investendo molto, molto di più di quanto si possa raccogliere pubblicando 23 numeri (correggetemi voi se sbaglio) di una fanzine di culto, sette libri sul Boss (più uno tradotto), due album tributo e decine di recensioni e articoli sparsi ovunque nell’editoria musicale italiana. Ma se devo fare un bilancio, non può che essere positivo perchè se guardo nella cesta dei ricordi ci trovo amici, esperienze, luoghi dove probabilmente non sarei mai andato o che avrei visitato con intenzioni e risultati diversi.
Dovessi tornare indietro rifarei tutto allo stesso modo. E probabilmente tornerei a dire a Bruce Springsteen “sei stato l’Elvis, il Woody Guthrie, il Chuck Berry della mia generazione – grazie per avermi cambiato la vita e per essere la persona che sei”. Perchè ci credevo e ci credo ancora.
Nella mia vita professionale ho incontrato una quantiità impressionante di “star” dello spettacolo. Ognuna, a modo suo, di persona tradisce l’idea che avevi precostruito. Bruce no. E’ quello lì che ti guarda e ti tira l’armonica, fissandoti fino a che non l’hai presa e messa nel taschino. E’ quello che gira per l’arena vuota assicurandosi che anche l’ultimo, quello contro il muro, possa sentire e vedere degnamente. E’ quello che lavora, da sempre, per gli altri. Come sa fare lui. Perchè “nobody wins, until everybody wins”.
19 giugno 2011 – Ermanno Labianca