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Tullio De Piscopo: Ritmo & Good Vibration
Il Maestro Tullio De Piscopo ha compiuto 75 anni. Personaggio istrionico, considerato un guru dai suoi colleghi, per le sue straordinarie capacità tecniche e per la passione dirompente che trasmette attraverso la musica, è tra i batteristi e percussionisti italiani più apprezzati a livello internazionale e un artista capace come pochi di accendere emozioni nel cuore della gente. Napoletano doc, nasce il 24 febbraio 1946 da una famiglia di musicisti: il padre Giuseppe, anch’egli batterista, suonava nell’orchestra del maestro Giuseppe Anepeta, (uno dei più famosi arrangiatori e direttori d’orchestra della canzone napoletana) e Romeo, il fratello maggiore morto prematuramente, faceva parte di complessi che suonavano nella zona di Bagnoli e gravitavano attorno alla base NATO. Così se da un lato Tullio a casa ascoltava i dischi di Charlye Parker, Miles Davis, Max Roach, Kenny Klarke, Art Blakey, Philly Jo Jones dall’altro è sulla strada che imparò ad attingere le sue principali ispirazioni e a formare il suo talento: “Molti musicisti hanno copiato i grandi d’oltreoceano, io ho attinto dalla strada, dalla mia strada, tra la Pretura e il Tribunale, tutto un vociare, un suono, mille suoni, e o’ papunciello, il treno che partiva davanti al cinema Casanova per i paesi della provincia di Napoli”. Ancora teenager lavorò nei night-club di Napoli, molto frequentati dai soldati americani e a quattordici anni fu arruolato nelle compagnie di avanspettacolo che lo portarono in giro per l’Italia. Nel 1969 si trasferì a Torino, affermandosi sulla scena musicale come batterista fisso allo Swing Club, storico locale jazz dell’epoca, e nel 1971 si stabilì a Milano suonando nei gruppi di Franco Cerri e Enrico Intra. Qui incise alcuni album da solista e avviò importanti collaborazioni con artisti stranieri in tour in Europa quali Eumir Deodato, Bob James, Jerry Mulligan, Chet Baker, Tony Scott, Dave Samuels, Slide Hampton, Gato Barbieri, Billy Cobham, Don Cherry, Bob Berg, Don Moye, Wayne Shorter, Lester Bowie, Don Costa, Max Roach, Winton Marsalis, Astor Piazzolla, Manu Chao e Mory Kantè. Ma altrettanto rilevante è l’elenco delle collaborazioni con artisti italiani del calibro di Mina, Adriano Celentano, Lucio Dalla, Franco Battiato, Fabrizio De Andrè, Enzo Jannacci, Roberto Vecchioni, Giorgio Gaber, Ornella Vanoni, Pino Donaggio, Donatella Rettore, Gigi D’Alessio e tanti altri ancora. Autore di 27 album in studio, grandi hit come Stop Bajon (un rap composto con Pino Daniele nel 1984) e Andamento lento (con cui nel 1988 ottiene un grande successo al Festival di Sanremo e la vittoria al Festivalbar), De Piscopo ha firmato anche colonne sonore come quelle per i film Razza selvaggia e Naso di cane di Pasquale Squitieri, Mi manda Picone di Nanni Loy e 32 dicembre di Luciano De Crescenzo. Né possiamo non ricordarlo per essere stato il grandissimo batterista di Pino Daniele nei dischi “Vai mò” e “Bella ‘mbriana”, oltre che in alcuni tour tra cui quello con il “supergruppo” nel 1981 formato anche da Tony Esposito, James Senese, Rino Zurzolo e Joe Amoruso.
Tutta la carriera di De Piscopo si è articolata su un doppio binario: il jazz puro e la musica popolare, in cui Napoli e la sua gente sono state la fonte principale di ispirazione: dalla lingua alla storia, dalla canzone classica di Sergio Bruni alle urla degli ambulanti tra le strade. I suoi pezzi sono fantastiche sonorità jazz-pop, in cui convivono venature africane e riadattamenti in chiave ritmica e rap dei rumori convulsi e antiche voci della sua città. Così come coesistono l’amore e le passioni con lo sdegno e la rabbia, attraverso ondate di un mare impetuoso che travolgono in una continua festa di suoni e di emozioni.
“Hungry Art”: un concorso internazionale dedicato a Bruce Springsteen e alla pittura
Musica e creatività legate in una bella iniziativa: è il concorso internazionale “Hungry Art” di disegno, grafica e pittura che, lanciato dal Pink Cadillac Bruce Springsteen Fan Club, è giunto già alla sua seconda edizione. Vale qualsiasi tecnica – matite, inchiostro di china, pastelli, pennelli, gessetti, etc. per dipingere o realizzare un qualcosa di creativo e artistico – purché abbia come tema un personaggio centrale e iconico del mondo del rock: niente di meno che Mr. Bruce Springsteen, interpretato con gli occhi del fan o gli occhi dell’artista, o con gli occhi del fan-artista, in modo originale e creativo.
Anche stavolta è prevista un’ampia partecipazione italiana e straniera, considerata la popolarità del Pink Cadillac, il più numeroso e attivo fan club di Springsteen in Italia e all’estero, e del suo sito tra i più accreditati in Europa tra quelli dedicati al musicista americano.
In effetti, il Pink Cadillac non è solo una scalmanata comunità di fans, ma una realtà molto operosa a Napoli per quel che riguarda la divulgazione della conoscenza della musica, attraverso l’organizzazione di eventi culturali e musicali con artisti nazionali e internazionali. La base operativa è il PIT, il primo centro in Europa dedicato a Bruce Springsteen, che si trova nel cuore della città partenopea accanto all’Albergo dei Poveri e che accoglie scuola di musica e teatro, manifestazioni musicali, proiezioni, eventi a carattere sociale e letterario. Il PIT ospita collezioni private e due esposizioni permanenti – Like A Vision. Bruce Springsteen e il Cinema [una cronaca visiva del rapporto tra il Boss e la settima arte, attraverso i suoi brani presenti in pellicole cinematografiche, i motivi e le suggestioni che hanno contaminato il suo immaginario e la struttura narrativa dei suoi testi] e la più completa raccolta di riviste italiane con cover dedicate al Boss – oltre a memorabilia, poster originali, locandine, fotografie, dischi e rarità, centinaia di pezzi raccolti negli anni. Dotato di biblioteca ed archivio di fanzine e riviste italiane e straniere consultabili, il PIT si pone anche come centro di informazione aperto agli appassionati della musica e, più in generale, come di polo formazione per il quartiere.
Ovviamente al momento le attività sono sospese causa Covid, ma in attesa che riaprano materialmente i battenti, il Pink Cadillac con questo concorso si conferma attivo e ottimo canale di aggregazione – ahimè in questo caso virtuale – per gli appassionati di musica e di arte e tutti i fans del mondo. Tant’è che quest’anno a presiedere la giuria c’è addirittura Eric Meola, fotografo americano di fama internazionale, e soprattutto autore di alcuni dei più iconici scatti ai miti del rock, come quello che gli è valso la copertina di Born To Run, l’album di Bruce Springsteen pubblicato nel 1975. Della giuria fanno parte anche Patrizia De Rossi – giornalista, conduttrice di programmi radiofonici, autrice di molti libri tra cui “Bruce Springsteen e le donne. She’s the one” (Imprimatur Editore, 2014)” e il recentissimo “Patti Smith, La forza della parola” (Diarkos, 2021) – e Gianluca Tramontano, art director, docente di Graphic Design e Art Direction all’Accademia Italiana di Comunicazione Visiva.
Ai vincitori verranno inviati i gadgets del Pink Cadillac Bruce Springsteen Fan Club e la targa premio dell’edizione 2021. La partecipazione al concorso è gratuita, basta aderire al regolamento e seguire le istruzioni pubblicate sul sito pinkcadillacmusic.it e inviando, entro e non oltre il 15 maggio 2021, una mail all’indirizzo staff@pinkcadillacmusic.it. I 12 migliori lavori verranno inoltre pubblicati in formato cartaceo nel calendario Pink Cadillac 2022 con i nomi degli autori. L’esito del concorso sarà pubblicato il 22 maggio 2021 sulle pagine del sito in occasione del 24° anniversario della fondazione del Pink Cadillac Bruce Springsteen Fan Club.
Quindi, pronti fogli e matite? Non importa saper disegnare ma partecipare dando spazio alla fantasia e soprattutto ritagliarci attimi da dedicare alle nostre passioni e divertimento.
Enzo Gragnaniello: Scugnizzo, Poeta e Cantore Partenopeo
17 Gennaio 2021
«Fa caldo, voglio una birra, ma fredda come il cuore che hai per me. Un giorno lo scoprirai, che avevo dato la mia anima a un deserto». Così canta Enzo Gragnaniello nel nuovo singolo «Fa caldo» uscito il 27 novembre segnando il suo ritorno dopo la pubblicazione nel 2019 dello splendido album “Lo chiamavano Vient’ ‘e terra”. Sarà per quella miscela seducente di country, rock e blues, sarà quella storia filmica di amore e distanza, di passione e mancanze, di fuoco e di gelo, interpretata nel bel video da Massimiliano Gallo, Shalana Santana e Federica Totaro, ma il cantautore napoletano – già quattro volte Premio Tenco –va nuovamente a segno con un brano destinato a colpire nel profondo il nostro universo emotivo.
Ma d’altronde si sa, Gragnaniello si conferma ogni volta uno dei più grandi cantautori post anni Settanta, un artista tanto colto e raffinato, quanto integro e genuino, che ha saputo studiare, sperimentare e attingere a piene mani dalla monumentale tradizione della canzone napoletana del passato, per riversare quel patrimonio in alcune delle più belle pagine dell’attuale musica italiana. Nato a Napoli il 20 ottobre del 1954, a vico Cerriglio, il vicolo più stretto di tutta la città, è tra le strade dei quartieri più popolari che cresce e impara i più svariati mestieri, da garzone di pasticceria ad “attrazione vivente” – come racconta lui stesso – di una bancarella di blue jeans, da giardiniere ad accompagnatore degli americani nei locali dove si suonava musica live. A 18 anni compone le prime canzoni, poesie a un tempo di rabbia e speranza, incentrate su l’unico universo che conosceva bene: quello delle osterie e di chi ha fatto la guerra; quello degli emarginati, di chi sta in galera e di chi è costretto a tirare avanti arrangiandosi alla men peggio per strada. Grazie al suo straordinario talento musicale negli anni Settanta Enzo forma il gruppo “Banchi Nuovi” (nome del comitato dei Disoccupati Organizzati di cui Enzo faceva parte) in riferimento a una delle più difficili realtà da sempre della nostra città. Il suo desiderio in questi primi anni è riportare in vita le radici popolari della canzone napoletana ed è con questo proposito che partecipa nel 1976 all’importante Festival di Berlino, rassegna dedicata alle tradizioni popolari. Il suo album di debutto nel 1983 porta il suo nome, e due anni dopo pubblica “Salita Trinità degli Spagnoli”, in omaggio alla via della sua casa ai Quartieri Spagnoli dove tutt’ora vive. Tra gli anni Ottanta e i Novanta Enzo è uno dei cantautori più noti in assoluto, grazie anche al successo di brani del calibro di Cu‘ mme, interpretata magistralmente da Roberto Murolo e Mia Martini nel 1992. Tra le sue numerose collaborazioni con altri artisti vanno ricordate quella con Mia Martini (per la quale scrive due brani straordinari, “Stringi di più” e “Donna”) e quella con Adriano Celentano (per il quale compone nel 1996 “Cercami”). Nel 1997 in mondo visione su Rai Uno, Enzo duetta con il soprano Cecilia Gasdia in una magnifica versione di “Munasterio ‘e Santa Chiara” mentre nel 1999 è tra i più acclamati in gara al Festival di Sanremo con il brano “Alberi”, interpretato con la Ornella Vanoni e compositore della splendida “’O mare e tu” per Andrea Bocelli interpretata insieme a Dulce Pontes. Nel 2003 Enzo e James Senese collaborano all’album “Tribù e passione”, in gran parte costituito da classici napoletani rivisitati dai due artisti, come “Scetate”, “Giuramento” e “Passione”.
Nonostante la lontananza dai palchi in questi tempi difficili, Gragnaniello non è mai stato fermo semplicemente ad aspettare la fine della pandemia: “Stiamo chiusi nelle nostre case come animali non più sociali. Io non faccio un concerto da un secolo, per me non è normale, mi serve il rapporto con il pubblico, spero che al pubblico manchi la mia voce, il mio canto. Prima di sprecare e bruciare tutti i sentimenti nelle passioni c’è bisogno di coltivare maggiormente la spiritualità di un rapporto, la sua parte più elevata, capace di produrre amore, l’energia fondamentale dell’universo intero […]. Finirò il mio album, aspetterò il momento giusto per farlo uscire nel 2021. E, soprattutto, aspetterò il momento in cui finirà questo strano tempo, doloroso e sospeso, per risalire su un palco, per rubare emozioni a chi viene ad emozionarsi di fronte a me».
DIEGO ARMANDO MARADONA: LA MUSICA PIU’ BELLA
Fonte d’ispirazione non solo per il popolo dei tifosi che lo amano visceralmente, ma anche per intellettuali, musicisti e cantautori, le canzoni e gli inni intitolati a Diego Armando Maradona dimostrano che la leggenda che lo circonda non è solo quella di un calciatore capace di scrivere pagine indelebili di storia sportiva. E’ anche e soprattutto l’epopea di un mito, dell’eroe buono che – armato solo di cuore e piede sinistro, lesto di gambe e di pensiero – ha combattuto e vinto la rivoluzione del suo popolo. Diego Armando Maradona era una rockstar, per cui ogni domenica c’era il sold out di una folla in delirio, certa di lì a poco di vivere quell’emozione collettiva che forse solo un gran concerto, oltre a quel bel calcio, ti può garantire. Era l’artista che divertiva e incantava il suo pubblico improvvisando memorabili show senza scalette preconfezionate. Kusturica, nel suo film intitolato “Maradona by Kusturica”, l’ha definito il Sex Pistols del calcio internazionale, punk per il suo anarchico approccio alla vita, per la forza dirompente del suo talento che l’ha reso un re pur partendo dai bassifondi, per gli eccessi che l’hanno visto protagonista. Diego è stata una rockstar transgenerazionale che ha regalato al mondo la più grande opera d’arte calcistica che sia mai stata orchestrata. Con i piedi ha improvvisato assoli alla Jimi Hendrix, per la poesia delle sue giocate il John Lennon del calcio, e per la gioiosità con cui approcciava il pallone al più goliardico Paul McCartney. Se in mezzo al campo era un frontman seducente alla Mick Jagger, nella vita privata non ha mai perso quella sensibilità e quell’attenzione per gli emarginati e per i più deboli come il grande Bruce Springsteen. E Diego con la musica e le rockstar aveva un rapporto particolare. Nel 1981 fu invitato sul palco durante l’ultima tappa argentina del The Game Tour, Another One Bites The Dust dei Queen al Josè Amalfitani. Brian May ha raccontato che Diego a fine concerto si recò anche a trovare la band nel backstage: “Da bravi calciatori ci scambiammo le maglie, Maradona mise la mia con la Union Jack e Freddie Mercury prese la sua 10 albiceleste”. La foto che ne uscì è ormai parte della storia del rock, postata sul profilo social della band per il commiato a Maradona. Anche gli Oasis hanno avuto un rapporto particolare con El Pibe de Oro. Per celebrarlo, i fratelli Gallagher hanno postato la foto che li ritrae con Diego, scattata in un locale in cui lo incontrarono durante un loro tour in Argentina. Insomma, Maradona era amatissimo dal mondo del rock e della musica in generale come dimostra anche la moltitudine di messaggi che cantanti e band – dai Guns ‘n Roses, i Duran Duran, gli U2 e i Massive Attack, ai Garbage, gli Sleaford Mods, i Primal Scream, e ancora Pete Doherty, Dyango, Ricky Martin – hanno rilasciato sui social in questi giorni, con tanto di loro foto col Diez, ricordi personali e commenti commossi. In Italia tra i post più belli c’è quello di Vasco Rossi, che celebra Maradona con un poetico “Ciao Diego, mito indiscusso, incantatore di palloni, impareggiabile e indomabile. In una parola sola… Maradona.
Viva Diego Armando Maradona!”. O ancora i post e i ricordi emozionati di Gianna Nannini, Eros Ramazzotti, Loredana Bertè, Andrea Sannino, Patti Pravo, Luchè, Piotta, Cesare Cremonini, Elisa, Ligabue, Massimo Ranieri. Grande amico di Diego era Nino D’Angelo che in lacrime ha cantato al piano il suo straziato addio a Diego, sulle note – stavolta tristissime- del suo ultimo “Ho visto Maradona”. Emozionante è anche “Maradò” del giovane Antonio Petrellese, un brano/preghiera rivolto alla “nuova stella che brilla su Napoli”, da chi ha imparato ad amarlo profondamente attraverso i racconti del padre e la felicità donata alla propria città. Un bellissimo racconto è quello di Gigi D’Alessio che ha svelato un aneddoto che riguarda Maradona e la canzone “Si turnasse a nascere”: “Questa è una canzone che ho scritto sette anni fa. La feci sentire a Diego, e lui mi chiese: ‘come hai fatto a scrivere la mia storia?’. Io gli risposi ‘Questa non è la tua storia, è la storia di tutti quelli che nella vita hanno successo e poi non riescono più a distinguere le cose vere da quelle che non lo sono’. Mi chiese di essere protagonista del videoclip, così volammo a Dubai e lo girammo insieme a lui”. Il video e il testo sono toccanti: si riflette, si lacrima.
Tra le tantissime canzoni dedicate al Diez scritte negli anni passati va citata senz’altro “La vida tombola” di Manu Chao che è uno dei più bei ritratti in musica di Maradona: tutto – dalla gloria ai suoi demoni, dalle sue battaglie in campo a quelle con Blatter e la FIFA – viene cantato attraverso l’urna della tombola, che diviene metafora della vita di Diego. Il brano fu utilizzato da Emir Kusturica per la sua monografia. E ancora va ricordato “Santa Maradona” dei Mano Negra, un inno a Diego e a tutto l’universo ultras, che ha dato anche il titolo ad un film del 2001 di Marco Ponti; “O reggae e Maradona” di Valerio Jovine, una dichiarazione d’amore diretta e assoluta per tutto ciò che rappresenta Diego per il popolo napoletano; “Maradona” dei Canova, un omaggio, nel loro album di debutto nel 2016, dedicato all’uomo simbolo di una vita senza tempo, di cui ricordano l’approccio giocoso con il quale Maradona si divertiva (e faceva divertire) pur conservando sempre la sua forza rivoluzionaria; “Doma il mare, il mare doma”, scritta nel 2000 dagli Stadio il cui testo, a dispetto di un sound allegro e accattivante, è piuttosto malinconico e parla della vita, dalla gloria alla solitudine, del più grande di tutti i tempi. Persino Marco Pantani nel 1997 indossò provvisoriamente i panni del cantante e si presentò alla commissione artistica del Festival di Sanremo con il brano “Pibe de Oro”, chiaramente dedicato a Maradona ma non riuscì a portare aventi questo suo progetto. E potremmo citare ancora tantissimi autori – da Baccini a Vale Lambo, da Thegiornalisti a Paolo Petti, fino al caso dei Foja che, all’indomani della morte di Diego, hanno scelto di cambiare la copertina del loro nuovo album che celebrava con un grande 10 azzurro su fondo bianco i loro primi dieci anni di carriera, per non dare adito a speculazioni sulla drammaticità dell’evento – volendoci comunque limitare alle sole canzoni italiane e senza sconfinare nell’universo dei cori ultras – come il famoso “Oh mamà mamà mamà ho visto Maradona”, inno per eccellenza tra quelli a lui intitolati. Non possiamo non concludere la nostra carrellata con i due brani dei cantautori più amati da noi napoletani: il brano di Edoardo Bennato “È asciuto pazzo ‘o padrone” dell’omonimo album del 1992, firmato con lo pseudonimo di Joe Sarnataro che canta: “Chill’ era nu’ buono guaglione …ma’ inta’sta’ citta’ mank’e’ sante e’ facite alligna’!”, versi dedicati all’amico Diego Armando Maradona quando fu costretto a lasciare Napoli nel ’91. E infine il “Tango della buena suerte” di Pino Daniele dedicato a Maradona nell’album “Passi d’autore” del 2004. Pino aveva citato Diego già nel testo di “Un angelo vero” nel 1993, ma questa è una vera e propria lettera d’amore ispirata dalle gesta calcistiche di Maradona. E’ un brano melodioso, con sfumature popolari, che racconta del sogno che quel ragazzo arrivato dal Barcellona ha saputo regalare ad un intero popolo. Basta un ascolto per assaporare i vicoli assolati della città di Napoli che aspetta, con il fiato sospeso, il calcio del suo campione.
Diego amava la musica. Amava cantare e amava ballare. E la musica amava Diego, come l’epica cerca i suoi eroi. Addio Diego, dio del calcio e icona rock, combattente e rivoluzionario. Per quante canzoni meravigliose potranno mai dedicarti, la musica più bella l’hai scritta tu.
Le origini napoletane di Bruce Springsteen (parte II)
La mamma di Bruce, Adele Ann Zerilli è spesso tornata, fino a qualche anno fa, nella sua terra d’origine per un saluto ai parenti. Così come Bruce ha sempre sottolineato con orgoglio quelle radici, attraverso i ricordi sulla sua famiglia italiana narrati nella sua stessa autobiografia o con i frequenti riferimenti nei discorsi ufficiali, come ad esempio quello tenuto in occasione della premiazione con l’Ellis Island Family Heritage Award nel 22 aprile 2010. Tra i tanti premi da lui vinti nella sua formidabile carriera di rocker e “cantastorie” statunitense, questo consegnatogli dalla fondazione Statue of Liberty-Ellis Island può essere definito come uno speciale “premio alla carriera” per una persona di origini italiane che, grazie al suo indiscutibile talento, è riuscita attraverso la sua arte a far vivere a milioni di fans il Sogno Americano. In quel discorso di ringraziamento Bruce, affiancato orgogliosamente dalla mamma e dalle zie Dora Kyrby e Ida Urbelis, dichiarò: “Non puoi sapere chi sei, se non sai da dove vieni. In occasione del concerto in piazza del Plebiscito il 23 maggio 2013 durante il Wrecking Ball Tour, i riferimenti alle sue origini e “alla sua città italiana” di Vico Equense furono continui, precisi e circostanziati, dall’ ‘O sole mio, scelto come intro allo show che accompagnò con le parole: “Questo sole è quello della mia famiglia. E’ bello essere nel sud Italia, io sono del Sud Italia, è bello essere a casa”; al commento sulla grande immagine dell’antico Caffè Zerilli consegnatagli sul palco dai fans; alla My Hometown dedicata agli “amici di Vico Equense” e al “vi voglio bene assaje” in ringraziamento alla targa in argento del suo albero genealogico, disegnata e fatta incidere dal Pink Cadillac, e ricevuta prima del concerto in camerino. A tre anni di distanza dal concerto napoletano, nell’intervista rilasciata per Rockol nell’ottobre 2016, Bruce ricorderà ancora la sua gente e quella sera, con parole che suonano come una promessa: “Che pubblico! E’ bello stare in posti in cui senti una connessione così forte. Voglio tornare un giorno al paese della famiglia di mia madre, Vico: c’è ancora una casa dei nostri parenti. Quando ho suonato lì vicino, a Napoli, non sono riuscito ad andarci”. Springsteen non è ancora mai stato a Vico sebbene abbia spesso sostato, ospite sugli yacht di Steven Spielberg o di David Geffen, a largo del golfo di Napoli e di Salerno, con visite ad Amalfi, Li Galli, alla Grotta Azzurra e Capri. Si narra, nel circuito degli springsteeniani di un fan che avrebbe “abbordato” la barca ancorata al largo, arrivando a nuoto solo per ottenere un autografo e che, una volta esaudito il suo desiderio, si apprestava a rientrare sempre a nuoto con il braccio fuori per non far cancellare la firma, quando Bruce in persona avrebbe chiesto al comandante di far calare in acqua un motoscafo per poterlo riaccompagnare a riva. Altro episodio, stavolta ben documentato, è la nuotata che alcuni die hard del Pink Cadillac hanno affrontato per salutare Bruce sul molo di Nerano e per consegnarli di persona la medaglietta d’argento del fan club.
Sarà questo particolare legame con la sua terra di origine, sarà la passione profusa dal Pink Cadillac, ma oggi la città partenopea accoglie il primo centro culturale interamente dedicato a Bruce Springsteen. Ma di questo parleremo in un’altra occasione.
Le origini napoletane di Bruce Springsteen (parte I)
Tutti conoscono Bruce Springsteen, leggenda della musica rock mondiale, autore di album di platino, membro della Rock and Roll Hall of Fame e vincitore di un numero sterminato di riconoscimenti, tra cui venti Grammy, un Oscar, un Tony Award, Polar Music Prize e Golden Globe; e insignito del Kennedy Center Honors e della Medaglia presidenziale della libertà, massima onorificenza civile statunitense. Ma forse pochi sanno che il Boss, questa star planetaria e probabilmente il più grande performer di tutti i tempi, ha origini napoletane e, più precisamente, di Vico Equense.
Quella che un tempo era solo una deduzione tratta dal cognome materno, grazie all’infaticabile lavoro sul campo condotto dal Pink Cadillac Bruce Springsteen Fan Club e alle approfondite ricerche del professor Mario Verde, studioso di storia locale, da qualche anno è diventata assoluta certezza, approfondita con documenti di archivio e ricostruzioni genealogiche, e sancita dalla cittadinanza onoraria.
Le origini napoletane sono ascrivibili al ramo materno della famiglia Springsteen.
Sappiamo che il nonno paterno di Bruce era 50% olandese (lignaggio di Springsteen) e 50% irlandese (lignaggio di O’Hagen), la sua nonna paterna era 100% irlandese (lignaggio di Mc Nicholl) ma entrambi i nonni materni (lignaggio di Zerilli) erano italiani. Quindi, sebbene “Springsteen” sia un cognome olandese, la discendenza di Bruce è per il 12,5% olandese, 37% irlandese e 50% italiana.
Infatti il suo nonno materno, Antonio, era nato a Vico Equense (Napoli) e apparteneva a una famiglia che viveva lì da circa 40 anni. Zerilli è un tipico cognome siciliano, diffuso specialmente a Trapani e a Palermo. Potrebbe derivare dal termine greco” xeros”, che significa “asciutto – arido”, in riferimento forse alle caratteristiche del luogo di origine. Andrea Zerilli, trisavolo di Bruce, era nato a Palermo e nel 1852 nella Parrocchia dei Santi Ciro e Giovanni sposò Rosa Veniero, nipote di Luigi Serio (1744), poeta e patriota. Nella sua gioventù, Serio aveva ottenuto la fama di eccellente improvvisatore lirico, che gli procurò incarichi di poeta di corte, revisore di opere teatrali e la cattedra di Eloquenza presso la nostra Università nel 1771. Durante la Repubblica di 1799, Luigi Serio fu uno dei più ferventi patrioti, esperienza da lui stesso documentata nel suo “Ragionamento al Popolo.” Il 13 giugno, quando le truppe del Cardinale Ruffo entrarono in Napoli, Serio si precipitò a combatterle sul ponte della Maddalena e, secondo Coletta, morì sulle rive del fiume di Sebeto. Andrea Zerilli nel 1858 conduceva un Caffè o una trattoria in Piazza Fontana (Largo Fontana) in Vico Equense. Nel 1883, era tesoriere presso l’Istituto femminile di SS. Trinità e Paradiso, ufficio che sarà ereditato poi da suo figlio Raffaele. Sappiamo anche che Andrea era un appaltatore del Dazio in Vico Equense e in Massalubrense. In Vico era inoltre direttore dell’Ufficio postale. Quando la sua famiglia si ingrandì (cinque bambini, quattro nuore più di venti nipoti) Andrea comprò un suolo dove costruì un edificio in cui vivere tutti insieme e spostare il suo “Gran Caffè Zerilli.” Nel 1897 tutti gli appartamenti furono venduti eccetto il negozio. Andrea morì in Vico Equense il 27 agosto 1901 (all’età di 74 anni) e sua moglie il primo dicembre 1912 (all’età di 81 anni).
Il suo terzogenito, Raffaele, sposò Raffaella Aiello dalla quale ebbe un figlio nel 1887 e cinque figlie tra 1885 e 1896. Il maschio fu chiamato Antonio (che sarà il nonno di Bruce) e morirà in America nel 1977. Infatti la famiglia di Raffaele emigrò in America e sbarcò a Ellis Island (NY) il 3 Ottobre del 1900. Altri parenti del secondogenito di Andrea, Francesco, andarono in America nello stesso periodo tranne due figlie che lasceranno l’Italia negli anni ‘20.
Sappiamo che Antonio era un avvocato, si sposò ed ebbe tre figlie: Dora, Ida e, la più giovane, Adele Ann che sposò Douglas Frederick Springsteen, morto nel 1998. Dal loro matrimonio nacquero tre bambini: Bruce (23 settembre 1949), Virginia (”Ginny” 1950) e Pamela (1962).
Springsteen e Obama in lotta con i propri fantasmi nell’episodio 6 del podcast
E’ uscito il sesto episodio del podcast ‘Renegades: Born in the U.S.A.’ di Bruce Springsteen e Barack Obama. Stavolta la puntata si è articolata intorno al quesito, nient’affatto banale, sul significato dell’essere uomo, spesso confuso con la forza fisica, la repressione dei sentimenti, il successo definito principalmente da ciò che possiedi e la capacità di dominare piuttosto che associato alla capacità di amare e di prenderti cura degli altri. Springsteen ha raccontato: “L’arco della mia vita lavorativa Leggi tutto “Springsteen e Obama in lotta con i propri fantasmi nell’episodio 6 del podcast”